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il dito e il calippo

ovvero: la parabola della coatta e della luna

due parole solo sul tormentone dell’estate italiana 2010, la più calda politicamente dai tempi di tangentopoli, la più rovente dal punto di vista economico dato che il tracollo in stile grecia è appena dietro lo svincolo autostradale, la più delicata dal punto di vista morale dato che il bavaglio all’informazione (quella non animata da disvalori quali la faziosità, la prepotenza, l’abuso di potere, l’omertà connivente) trasformerà presto il nostro paese in un regime putiniano, con anne stepanovne politkovskaje fatte sparire e relegate all’oblio mediatico e piccole cecenie che saranno territorio di nessuno per mano di qualcuno, da Palermo a Milano, da Andrate a L’Aquila.
due parole solo sul tormentone del calipo e della bira di due ragazze che col caldo, come chiunque non abbia un disturbo fisiologico della sudorazione, stanno a fà la colla.
due parole sui giornalisti che si rimpallano la notizia inesistente, sugli stimati (da chi?) registi del cinema italiano che richiamano dal mondo dei morti perfino Pasolini quale nume tutelare.
due parole su chi cerca disperatamente qualcosa da dire quando ci sarebbe fin troppo di cui parlare.

il pubblico che guarda e ride non ha bisogno di filosofia perché di quelle due ha già capito tutto quello che doveva da una prima occhiata: minorenni, carine, quasi analfabete. nessuna lode, nessuna infamia, due tra tante.
l’ennesimo giornalista che le intervista e cerca a forza di cavargli fuori un sogno di futuro si risparmi pure la fatica: non succederà.

intanto che in quest’estate di aria puteolente i media cercano disperatamente di attaccarci a forza a questa boccata d’aria fresca, galleggiando nel vuoto pneumatico attendiamo che qualcuno smetta di indicarci il calippo e raggiunga le due ragazze di ostia per svelargli che, quella che gli sembra la luna, è solo una coda nei cessi dell’Hollywood o nel privé del The Club a cercare da sniffare per essere più accondiscendenti a rapporti sessuali.

a questo punto, possiamo anche dirlo: the show must go home.
sottotitolo: ve ne dovete annà!

say *cheese*

2009-2010: poco più di un anno, una taglia in più.
è un momento così. sono sempre stata piuttosto fighetta sul mio fisico. e photoshopparmi diventa sempre più difficile. perché i videoclip istantanei, i filmatini rapid share stanno prendendo il posto perfino degli scatti digitali. non fai tempo a dire ciak che qualcuno ti ha subito uplodato.
e con l’età che avanza e un po’ di panza di circostanza, non mi è più permesso far tanto la ganza.

inutile: non sono mai stata figa.
per quello, ci vuole la genetica.
ma mi sono un po’ immozzarellita e questo mi dispiace assai.

però oggi un amico mi ha segnalato questo piccolo aggeggio e non vi nascondo che mi ha risollevato e non di poco l’umore.
si tratta di una fotocamera che porta il mio nome. e mi assomiglia anche di carattere.
come fa una fotocamera ad assomigliare a una persona? bhè, semplice: è stronza. e non assomiglia a una persona qualunque, bensì a me.
la nadia-cam ti fa mettere in posa, ti inquadra, ti mette a fuoco e poi, prima di scattare, ti dice qual è la tua percentuale di figaggine. ad occhi e croce, il 100% è settato su Giselle.
per tutto il resto del mondo, invece, difficilmente si va sopra il 15-20%, dato che perfino i fiorellini della demo illuminati da un raggio radioso riescono a malapena a raggiungere un 87%.

che dire?
la sento già mia.
averla mi renderebbe la bambina grassa e acneica della pubblicità vigorsol, ve la ricordate? è quella che, sulla spiaggia, chiudeva gli occhi desiderando di non essere la più brutta. e, quando li riapriva, tutti sulla spiaggia erano mooooolto più grassi e brufolosi e brutti di lei.

Nuovi media e diritto alla felicità

tra marzo e maggio sono spesso chiamata a incontri. anzi, come ieri mi ha detto la giornalista Magda Biglia (che, come spesso mi accade, ho incontrato solo dopo aver imparato a stimarla attraverso la sua presenza virtuale) dato che questi anni sono affetti dalla convegnite, la patologia che spinge ad organizzare convegni e seminari su qualsiasi argomento, tra marzo e maggio sono spesso chiamata come ospite e relatrice ai convegni.
il fatto che io scriva di sesso e di relazioni, la docenza post universitaria in pubblicazione etica su web, la collaborazione con la polizia postale e il fatto che quando parlo non è quasi mai per dire che smalto preferisco o per esprimere la mia devozione allo stiletto, mi colloca in una buona posizione per fare la relatrice tappabuchi.

comunque, tra marzo e maggio sono spesso ospite ai convegni. dato che l’8 marzo si festeggiano le donne e la prima domenica nei paraggi dell’8 maggio quelle che sono anche mamme, i temi sono un po’ questi: maternità, pari opportunità, educazione.
e siccome oltre a parlare di web, lo conosco da dentro, ecco che per qualcuno dovrei insegnare ai genitori cosa fare con i propri figli prima che si mettano nei guai in rete.
quello che non posso dire -ma faccio fatica a nascondere- è che non mi piace insegnare. non credo che ci sia nulla da insegnare, soprattutto se viene da me che nel web dissemino primi piani di culo e tette.

e poi insegnare presuppone l’atto di giudicare e quello di sentirsi dalla parte del giusto.
e io non ne sono così sicura.

così, pensando a quello che posso trasmettere (termine che preferisco a insegnare), ho iniziato a proporre un tema che mi ha molto stuzzicato: la ricerca della felicità.

perché, quando si parla di pari opportunità e di rispetto delle persone, al di là del fatto che siano uomini o donne, si parla di un atteggiamento virtuoso e costruttivo che fa parte di una ricerca della felicità, singola e collettiva.
allo stesso tempo, quando si condanna l’utilizzo delle nuove tecnologie, si dimentica quanto queste siano la risposta a richieste specifiche di felicità.
rendersi conto di tutto questo ci rende più empatici e comprensivi.
e fornisce un punto di partenza costruttivo – ben lontano dalle proibizioni e dai divieti, che sono invece un punto di arrivo che coincide col fallimento del dialogo – perché ci ricorda che i nuovi media rispondono a singoli desideri, ma costano la rinuncia a un requisito fondamentale della felicità umana: il contatto.

non si può essere felici se non si condivide la vita, intellettuale e fisica.
il dibattito sulla felicità è attuale ed effervescente.
lascio qui, per le molte donne che si sono fermate e che avrebbero voluto proseguire il dibattito dopo il convegno all’ITG Tartaglia, le slide del mio intervento, ovviamente senza la clip video.

sono naturalmente raggiungibile via mail se volete continuare l’interessante dibattito.
e, mi raccomando: non smettete di perseguire con forza e determinazione il raggiungimento della felicità!

Confessioni di una presidentessa

Potete leggere l’originale sul blog Amiche/Nemiche di Sara Balsamo.

Eccomi qui. Presidentessa al seggio numero non-si-può-dire di Brescia. Sopravvissuta all’interminabile svolgersi del ciclo apertura dei seggi – svolgimento delle operazioni di voto – spoglio delle schede. E mai che qualcuno ci desse soddisfazione e le prendesse sul serio queste schede, con tutta la fatica che si fa a spogliarle per bene.

Osservavo in queste giornate l’andirivieni degli elettori in processione dispersa, alla spicciolata, così convinti e determinati nella generale assenza di entusiasmo. E mentre dalla tivvù si resuscitava -come ogni turno- la stanca voglia di un vento di cambiamento, guardavo gli elenchi delle liste con occhio curioso. Calcolatrice alla mano, prima di iniziare il mio ruolo di interprete e garante della volontà di ciascuno espressa nel segreto della cabina con la stessa segreta liberazione che sente ognuno di noi a scoreggiare al sicuro da sguardi inquisitori, ho passato il tempo a verificare cosa potevano portarci di nuovo queste elezioni. Una cosa c’è stata: niente Alleanza Nazionale. Vuoi vedere che il trambusto delle liste era organizzato di proposito?! Ma andiamo con ordine. Primo: età dei candidati a presidente della Regione Lombardia. La regione più produttiva d’Italia ha bisogno di trasporti efficienti, burocrazia leggera, un rilancio culturale, interventi sociali a sostegno delle famiglie e una sanità più accessibile. Per fare tutto questo e molto di più l’Unione di Centro ha pensato bene di candidare un aspirante presidente di 67 anni. Che è stato però sconfitto dall’amatissimo 63enne Formigoni. Chissà cosa mangiano questi, ché io a sessantanni suonati vorrei dedicarmi alla mia famiglia, magari prendermi la laurea che non riesco a prendere ora, forse scrivere un romanzo che adesso mi pare troppo impegnativo. Non certo dirigere con piglio ed energia un’intera Regione. Dietro ai due vegliardi stavano a stretto giro Penati (58 anni), Invernizzi (54), Agnoletto (52) e Vito Claudio Crimi, imberbe 38enne proposto dal Movimento 5 Stelle. La media delle liste regionali, in generale, non era affatto incoraggiante: 57,5 anni per l’UDC; 52,5 per La Lombardia; 48,3 per la sinistra; 41,8 per la lista di Grillo e 35,4 anni per Forza Nuova che presentava una serie di puledrini tutti giovanissimi a portarsi il peso dell’ultracinquantenne cavalier Invernizzi. Una menzione d’onore va a Rifondazione e al suo calendario di varietà: Dario Fo e Franca Rame, il signor Rossi e la Costituzione, Margherita Hack contro le 5 stelle. Tutti insieme fanno una lista che ha in media 58,5 anni. Se il comunismo non è morto, di certo non se la passa granché bene. Qualche elettore ha chiesto, in cambio di un voto, almeno un biglietto per la prima. Che gli dovevo rispondere, cara aminemica? L’ho messo a verbale. Insieme a chi mi chiedeva che ci faceva una del ’77 nella lista dei pensionati. Non lo so, ho risposto: forse non ha voglia di lavorare e si è data alla politica. Così come mi chiedo cosa avrà mai da dire Andrea Giuliani, bresciano classe 1990, candidato per FN nelle liste provinciali. O Sebastiano Seddio, 21 anni, anche lui di Forza Nuova che hanno battuto il primato di Renzo Bossi (22) a candidato post-teen di queste edizioni carnascialesche. Tra i giovanissimi c’era anche uno dei due fratelli bergamaschi (da non confondere con i gemelli Bergamasco del rugby) candidati entrambi da Forza Nuova; che -a corto di presentabili- ha pensato bene di mettere qualche duplicato tra lista regionale e provinciale, come Luca Castellini.
Morti che camminano paiono questi partiti a leggere nomi e dati essenziali. Nelle liste provinciali l’età media dei candidati è così vicina ai 50 che quando trovi un trentenne quasi pensi di aver letto male. Il PSI riesce a stabilire un recordo con una media di 55,3 anni per i suoi candidati. Solita eccezione: Forza Nuova, che stabilisce il record di 32 anni di media per una serie di candidati che sembrano l’elenco di una classe di liceo.

Ultimo dato sconfortante, da presidentessa e anche da cittadina, è la presenza delle donne. So che parlare di pari opportunità causa a chiunque, dalla classe politica ai media, un’orticara diffusa e talvolta un senso di disgusto. Leggere quante donne vengono candidate dai nostri partiti è sempre molto interessante. E deludente. Come nel caso del Movimento 5 Stelle, così carico di aspettative, che ci sorprende in negativo con solo 3 donne nella lista regionale e 1 in quella provinciale. O il Partito Comunista, che candida 2 compagne illustri (la Hack e la Rame), 2 candidate che se la sono sudata e 1 sola in provincia. Il PD qualcosa fa in più e stabilisce il record di 6 candidate in regione e 4 in provincia. Troppo poche, ancora, troppo poche. Ovviamente, tralasciando il maschilismo di FN che con un senso moderno dei ruoli totalizza un vuoto di candidature femminili nelle liste e, probabilmente, nell’intero partito. Ma le quote rosa che fine hanno fatto? Forse c’erano liste equamente ripartite, ma chi doveva presentarle è arrivato tardi. Magari perché è rimasto intrappolato in uno dei treni zeppi di pendolari arrabbiati che nelle scorse settimane giuravano a Formigoni che si sarebbero vendicati e che invece, nell’intimità della loro cabinetta, hanno pensato con cognizione di causa che al peggio non c’è mai fine e chi lascia la presidenza vecchia per quella nuova sa che tanto si ritrova sempre la stessa gente, dislocata in posti diversi impegnata a far danni a 360 gradi.

Un’ultima cosa. Ho avuto la fortuna e l’onore di dirigere un seggio quasi completamente femminile. La mia segretaria è stata puntuale e irreprensibile. Ma alla fine dello spoglio abbiamo dovuto ricoverarla per un’infiammazione del tunnel carpale causata dalla quadrupla copia di nomi quali Giovanni Francesco Acri detto Agri oppure detto Gianfranco, candidato provinciale PDL. O Rosa Margherita Colosio della Rosa Rita e Gian Antonio Girelli detto Gianni (PD).
La radiografia è costata 80 euro, il ticket per il ricovero dovrebbe aggirarsi intorno ai 60 euro e il nostro compenso, che di elezione in elezione continua a diminuire, forse non basterà nemmeno a coprire le spese per i reduci da questa guerra elettorale in cui -sia ben chiaro- nessuno è vincitore.

Pillole d’amore

L’anno scorso più o meno in questo periodo avrei dovuto inziare a curare il blog per Playboy Italia.
Poi non se n’è fatto più nulla per motivi che non vi riguardano.
Però mi sono rimasti nel cassetto (o meglio: in una cartella del computer) i pezzi che avevo preparato per le prime settimane. Ho deciso che li posto qui e li regalo a voi, che siete i miei primi e più cari lettori.
Non è solo che sono piena di sensi di colpa perché vi sto trascurando, naturalmente.
E’ anche che se pensassi di farmi pagare per tutto quello che scrivo, perderei il piacere della cosa che mi ha sempre salvato: comunicare.
Dunque, buona lettura. Scusate l’assenza. La vita reale batte sempre il virtuale, non ce n’è. Ma noi resistiamo…

Se volete conquistare il cuore di qualcuno avete tre possibilità.
Quella tradizionale è …corteggiarla. Lo so: vi aspettavate una soluzione molto meno faticosa. Ma corteggiare qualcuno, sia esso uomo o donna, è un’arte raffinata che mescola tra loro tutte le arti e che ha come scopo principale quello di confondere i sensi. La vista primo fra tutti: quando ci innamoriamo, nascondiamo i nostri difetti e trasformiamo il nostro look per essere irresistibili e attraenti. Così, se mercoledì sembravamo le cuginette grasse di Ugly Betty, con un paio di pomeriggi tra shopping e parrucchiere, ci presentiamo all’aperitivo sabato sera pronte a diventare la controfigura di Ursula Andress, che emerge dalle onde del traffico in una nuvola di ormoni pronta a scatenare un uragano di arrapamenti generali.
Il secondo senso da ingannare è quello dell’olfatto e, infatti, seppelliamo ogni nostro odore naturale in giungle di fiori recisi, molticolore e profumatissimi, sperando che l’oggetto d’amore pensi a noi perfino quando passa per puro caso a fianco di una siepe tagliata di fresco. Inganniamo l’udito confondendo le nostre parole con musica scelta e selezionata per fare da colonna sonora alle nostre mosse migliori. Stordiamo il gusto con cene raffinate e alcool a fiumi. E, infine, offriamo al tatto l’intimo migliore del nostro guardaroba, sfoderando la sottoveste di seta o il pigiama di lino che per puro caso si trovava sepolto nel nostro cassetto da anni in attesa di qualcuno che gli mettesse le mani addosso.
Se il corteggiamento alla vecchia non funziona, potete rivolgervi alle moderne tecnologie e provare ad approcciare attraverso i social network. Lì è tutto un po’ più facile perché le immagini si modificano a photoshop, le parole sono scritte e si possono cambiare e correggere, non esistono odori sgradevoli di alito, piedi o ascelle e quando ci si incontra né il tatto né il gusto contano poi molto: se siete stati abili corteggiatori, quando il vostro oggetto d’amore accetterà d’incontrarvi lo farà per dar via libera ai propri istinti.

Se il corteggiamento non vi funziona, potete ricorrere a una pozione d’amore.
Io vi suggerisco questa. E’ un po’ laboriosa, ma gli ingredienti sono facilmente reperibili e la difficoltà è minima; dunque, anche i più timidi e i più sfortunati dovrebbero riuscire a raggiungere il proprio scopo. Quello che vi serve è una rosellina rossa. Mettetela da sola in un vaso con due dita d’acqua e lasciatela appassire. 24 ore precise, un minuto dopo la mezzanotte del primo giorno di luna piena levate i petali della rosa, metteteli in un fazzoletto di lino che nasconderete sotto il cuscino mentre vi addormentate pensando intensamente all’amata/o. La mattina, recuperate i petali e metteteli per un giorno a bagno in tre dita d’acqua. Questa è la vostra pozione d’amore che dovrete portare con voi alla prima occasione e spruzzarla sulla persona che volete conquistare. Due consigli: non lanciategliela in faccia e non obbligatela con la forza a berla. In entrambi i casi, potreste ottenere un effetto leggermente diverso da quello desiderato.

La terza possibilità ci arriva dalla scienza in questi giorni. Come già sappiamo, le regole dell’attrazione dipendono fondamentalmente da un’efficace combinazione chimica di fattori: la dopamina decreta il colpo di fulmine, la serotonina è la causa dell’innamoramento, la vasopressina e l’ossitocina generano tenerezza. Così, sulla rivista Nature è stato pubblicato nei giorni scorsi un articolo in cui si dice che gli scienziati sono al lavoro per realizzare una pillola in grado di dare gli stessi sintomi dell’amore. Il professore Larry Young, della Emory University, Georgia (USA), ha dichiarato in proposito che la sostanza in grado di manipolare il cervello per sentire più o meno amore nei confronti di un’altra persona, non sarebbe lontana dall’essere sviluppata.

Non so voi, ma la prospettiva di drogare qualcuno per essere innamorato mi pare piuttosto inquietante. Lo so, lo so, sono una zia romantica e senza speranza. Solo che mi pare che le persone che hanno bisogno di una pillola per innamorarsi forse sono le stesse che usano
una pillola per eccitarsi.
O magari, invece, farà bene a tutti. Magari capita un periodo dell’anno che sei un po’ sottotono, vai dal dottore e lui, invece dei soliti ricostituenti, ti prescrive: pillolina rosa la mattina per far battere il cuore e pillolina blu la sera per far pulsare le reni!
Con la lezione che mi dà il mio amico D., 32 anni, che si era innamorato davvero e voleva far bella figura per la loro prima notte d’amore e allora si è preso una pastiglietta di supporto. Risultato: gli è rimasto duro per un giorno e mezzo, lei si è spaventata e non ha più richiamato.

Nadiolinda @ IF

intervista realizzata per IF
4 novembre 2008
servizio di S. Parmeggiani
potete leggere l’articolo originale cliccando
qui

Erotic Carols

di Silvia Parmeggiani

Due sexy scrittrici reggiane si confrontano sul Natale, attualità e piccoli vizi. Con note piccanti e una buona dose di autoironia.


Carta d’identità
Nome: Eliselle
Data e luogo di nascita: 07/03/1978 Sassuolo
Professione: scrittrice

Nome: Nadiolinda
Vero nome: Nadia Busato
Data e luogo di nascita: Brescia 25/05/1979
Residente a Brescia
Professione: Copy Pubblicitaria, giornalista

Tre aggettivi per definire l’altra
E: Una testa pensante su un corpo da pin up
N: Genuina, sofisticata, brillante.

La parte di te che ti piace meno?
E: Il sedere
N: Il punto vita: più che un punto, è una parentesi molto tonda.

Il tuo punto forte?
E: La gambe
N: Due: occhi e caviglie. Dipende da dove mi guarda un uomo

Il peccato che non vorresti mai confessare?
E: Continuo a mangiare la panna montata anche se non dovrei
N: Ah, questo non si può proprio dire! Un segreto è un segreto. Altrimenti…

Ultimo libro letto?
E: “Che la festa cominci” di Ammaniti
N: Gli asini volano alto di Marco Archetti

Meglio un libro di Eliselle o Nadiolinda?
E: Per ridere, Eliselle, per riflettere, Nadiolinda
N: E’ come chiedermi se è meglio il cioccolato o la cioccolata… Sono autrici diverse tra loro. Come lettrice edonista, non me ne negherei nessuna!

Ti chiedono mai se sei tu la protagonista delle storie che racconti? E tu cosa rispondi?
E: Me lo chiedono sempre, e la risposta è sempre la stessa: no, ma con riserva
N: Chi non me lo chiede, lo dà per scontato. Ma la vita di ciascuno non interessa a nessuno. A meno che tu non ti chiami Rocco Siffredi o Fernanda Pivano, ovviamente

Essere o apparire?
E: Essere (su un tacco 12)
N: Entrambi, nelle giuste dosi, qualche volta con intelligenza, altre con malizia

Valentina o Mafalda?
E: La bellezza di Valentina, la dolcezza di Mafalda
N: Perché? Non sono due lati della stessa donna?

Dolce o salato?
E: Dolce, assolutamente
N: In ogni torta va un po’ di sale. E il pane senza zucchero non può lievitare

Uomini o donne?
E: Donne
N: Dipende: per farci che? …Scherzo, dai. No, qui non si sceglie: bisogna circondarsi di entrambi. E ben assortiti, mi raccomando

Cicciolina o Rosy Bindi?
E: Devo davvero rispondere a questa domanda?!
N: Rosy Bindi: è una che a certe bassezze non ci sta, che combatte dalla parte delle donne e lo fa con grande dignità. Non posso che sostenerla in pieno, con l’aria di sciovinismo retrogrado che circola viziosa nel nostro paese!

Trentalance o Don Mazzi?
E: Tra sacro e profano, la virtù sta nel mezzo…
N: Dovrei uscire a cena con ognuno di loro per dirtelo. Sono disponibile, se qualcuno si propone di organizzare

Bagno con candele o doccia?
E: La doccia per la praticità, la vasca con le candele per i momenti speciali
N: In ogni caso, bagno. Sul relax non si discute!

Hai mai avuto proposte indecenti?
E: Sì
N: Eh, sì! Bei tempi: da quando ho pubblicato il libro, scarseggiano

Hai mai risposto a delle proposte indecenti?
E: Sì, ma non ti dico se ho detto sì o no
N: Certo! Mai lasciare cadere la possibilità che certe fantasie diventino reali!

Sotto il vestito: slip, perizoma o niente?
E: Perizoma
N: Generalmente, slip. Ma se le circostanze lo richiedono…

Una tua fantasia perversa?
E:….
N: Non posso rivelarla o corro il rischio che non si avveri. E ci sto lavorando sopra da anni…

La parola che non useresti mai?
E: Impossibile
N: Mai

Il tuo aggettivo preferito?
E: Delirante
N: Innamorato/a

La tua canzone preferita?
E: Vado a periodi. Ultimamente, “Celebration” di Madonna
N: Breathless di Nick Cave

Tardi la sera o presto la mattina?
E: Tardi la sera
N: Se Dracula fosse vivo, gli chiederei di sposarmi: abbiamo gli stessi orari!

Panettone o pandoro?
E: Pandoro con zucchero a velo
N: Panettone, però cucinato da me

Il regalo che vorresti a Natale?
E: Un viaggio alle Maldive
N: Un po’ di tempo per stare con la mia famiglia

Natale tra amici o in famiglia?
E: In famiglia, con possibilità di fuga in qualsiasi momento
N: Essendo figlia unica, i miei amici più cari sono una famiglia. Dunque: Natale con le persone che amo. Puoi chiamarla ‘famiglia allargata’, se vuoi

Babbo Natale sexy o accollato?
E: Accollatissimo
N: Temo sia un po’ troppo vecchio per presentarsi solo con il sospensorio di D&G indosso… O quest’anno manda suo nipote? No, voglio saperlo: almeno lo aspetto. Sarei maleducata, se non lo facessi. 😉

Strip o burlesque?
E: Burlesque
N: Visto che sono praticamente la stessa cosa, scelgo la versione con pizzi

Babbo Natale o Befana?
E: Befana, perché si porta via le feste odiose
N: Pensavo che la Befana fosse Babbo Natale in versione drag queen!

Il calendario 2010?
E: Ricco di eventi e novità positive
N: Visto che quello dei Dieux du Stade quest’anno va bene per i bagni dei circoli gay, mi accontenterò di quello delle erbe mediche

Albero o presepe?
E: Albero
N: Albero

Chi metteresti nel presepe a fare l’asinello: Berlusconi o Marrazzo?
E: Marrazzo.
N: Nessuno dei due: per come trattano le donne e i contribuenti, non sono i benvenuti in casa mia.

Sotto l’albero: un libro di Dan Brown o Massimo Manfredi?
E: Manfredi.
N: Se questa è storia, allora meglio i fratelli Grimm!

Sotto l’albero: un libro confessione di un politico o di un tronista di Uomini e Donne?
E:Tutti e due (insieme a un accendino e un po’ di benzina per dargli fuoco)
N: A Natale non bisogna dire bugie. Perché leggerle?

Un augurio di Natale ai lettori di IF
E: Che sia un Natale dove gli scocciatori se ne stanno fuori dalla porta!
N: Spegnete la televisione, i telefoni e il computer e tenete acceso solo il cuore

Senza profitto ne avremmo approfittato

XIII giornata della Colletta Alimentare.
Ieri, 28 Novembre 2009.



Dovevo fare la spesa e così ho aspettato che fosse il sabato giusto.
Supermercato vicino casa.
All’ingresso un gruppo di ragazze sorridenti, età media 14 anni, distribuisce i volantini coi prodotti utili per chi ne ha bisogno. Si comprano:
– Olio

– Omogeneizzati e altri prodotti per l’infanzia
– Tonno e carne in scatola
– Pelati e legumi in scatola
Tra gli scaffali mi ferma una coppia di signore eleganti: «Scusi, lei sa dove sono il tonno e i fagioli in scatola?». Terza corsia, dopo la parete dei sottaceti.
Poi mi ferma un ragazzo senegalese: «Ma tu sai dove sono gli omogeneizzati?».
In fondo, c’è uno scaffale dedicato. Mi sente e lo segue a ruota una coppia giovane.
Finisco anch’io la mia spesa perché far beneficenza con cose pratiche come il cibo mi sembra in effetti uno dei modi migliori.
Penso al buonumore sprigionato nei televisori dove i pacchi o le buste o i sacchetti o qualsiasi altra cosa contiene migliaia di euro. E penso a unmilionetrecentomila famiglie che nei pacchi, nelle buste, nei sacchetti o qualsiasi altro contenitore spera di trovare da mangiare per almeno un altro paio di giorni. Ho scritto unmilionetrecentomila sapendo che la realtà (non confermata dalle statistiche) ha superato i tremilioni. E aumenterà.

Però ieri, metre giravo per il supermercato, un po’ di domande me le sono poste.
Se durante la giornata della colletta alimentare, il latte in polvere non fosse costato i soliti trentaepassa euro al kilo, quanto in più sarebbe stato acquistato?
Se gli omogeneizzati (1 per pasto, considerando un minimo di 4 pasti al giorno dal 6°mese di vita fino all’anno compiuto, ossia 7-8 mesi, ovvero 210-240 giorni e dunque 840-960 pasti da fare per ciascun bambino) non fossero costati i soliti 60 centesimi a confezione, quanti in più ne avremmo acquistati per chi ne ha bisogno davvero?
Se, oltre alle persone che ‘fanno la spesa anche per chi non può permetterselo’ anche i marchi della grande distribuzione e i supermercati, per un giorno, avessero rinunciato al loro rientro…

Mentre ieri facevo una piccola cosa per qualcuno che non conosco ma a cui tengo come essere umano, consideravo banalmente che quella di ieri è stata una festa per la grande distribuzione, marchi e punti vendita.
Comunque la si voglia mettere, il profitto non ha senso etico.
Per fortuna, anche se ci sono sindaci immorali, una classe politica indifferente e media compiacenti, le persone tengono ancora alle vite di altri sconosciuti, chiunque essi siano.

per favore, non vaccinatevi!

da molto tempo ho imparato che quando sento parlare di categorie a rischio non si tratta di un gruppo umano da proteggere bensì di un segmento di mercato sicuro.
allo stesso modo, quando i media nominano un gruppo di vittime non stanno parlando di solidarietà ma di testimonial gratuiti.
ecco che, anche quest’anno, torna la pandemìa dell’influenza invernale che, come ogni volta, mieterà più vittime della famigerata e ormai mitica «spagnola».
quella delle possibili pandemìe mondiali, dei virus sempre in agguato, dell’organismo trasformista in stile arturo brachetti pronto a una tournée devastante nel nostro apparato cardio-circolatorio è lo spauracchio dell’uomo adulto contemporaneo. quello che era l’uomo nero per i bambini, il mostro che li costringeva a ingollare l’odiata minestra senza far troppe polemiche, è oggi lo stesso che ci spinge a farci iniettare nel braccio sostanze di ogni sorta senza avanzare la minima critica.
è sulla fobia di qualcosa che potrebbe accadere e sarebbe catastrofico che oggi esiste la corsa ai vaccini. è la follia della guerra preventiva su scala globale e per questo siamo tutti chiamati a mettere in campo il nostro esercito immunitario per combattere ognuno la sua battaglia al nemico invisibile: il grande V.
e in questa chiamata in massa di buoni propositi, può succedere che qualcuno dimentichi di porsi la domanda essenziale: ma chi me lo fa fare?
la risposta è quasi ovvia: te lo fa fare chi ci guadagna sopra.

lo so: tolgo poesia e anche ardore a questa guerra delle lodevoli intenzioni. ma qui ci va di mezzo la salute di tutti noi.
proprio in questi giorni, assistiamo a un balletto interessante dei media. l’overture è stata l’annuncio di una nuova influenza, ovviamente letale: livello massimo nella scala pandemica dell’OMS. poi, durante il primo atto, ci si è premurati di tenere sotto controllo il panico e di annunciare l’arrivo presto in commercio di un vaccino perfetto per il ceppo malefico. durante l’intervallo, un messo ha informato il direttore di sala che il vaccino era pronto per essere immesso in milioni di esemplari sul mercato. in questo momento, siamo in pieno secondo atto dove i ballerini di seconda fila più deboli e acciaccati già di loro vengono promossi a protagonisti in modo che il pubblico li veda cadere e lasciare la scena mentre alla platea tutta si raccomanda caldamente l’acquisto del vaccino testé disponibile all’uscita del teatro.
e voilà.
per milioni di individui che comprano il vaccino stagionale, milioni di incassi sono l’introito garantito delle case farmaceutiche e del loro indotto diretto. ma a quelli che si fanno inoculare sieri non meglio identificati, chi ci pensa?
anche qui, la risposta è ovvia: nessuno.

un vaccino pensato per un virus isolato pochi mesi prima ha due caratteristiche possibili: o è riciclato da formule pre-esistenti (e, dunque, può funzionare come no) o non è stato testato sulle persone.
se la prima ipotesi è discutibile, la seconda è certa.

le campagne di vaccinazione di massa dell’infanzia, degli anziani e di tutte le categorie cosiddette a rischio sono la moda del millennio. se non hai nemmeno un virus esterno inoculato da qualche parte sei un pezzente, un irresponsabile.
eppure, non esiste nessuno studio condotto secondo principi di ricerca attendibili (ad esempio, uno studio a doppio ceco su vent’anni di vita dei bambini vaccinati con la malefica esavalente) e sul lungo periodo, dei danni causati dai vaccini sul corpo umano.
perché, da un certo punto in poi, la medicina ha dato per certo che i vaccini sono una pratica sicura.

se non volete credere, fate un test, veloce veloce: chiedete al vostro farmacista (o al vostro pediatra) qualche informazione in più sul vaccino che state pensando di farvi e ditegli che avete dubbi sia sulla sua efficacia sia sulla sua sicurezza. la risposta suonerà più o meno come:
«ah, ma guardi che, da quando faccio questo mestiere, ho visto almeno 3mila persone vaccinarsi con questo prodotto e nessuna ha mai avuto problemi».
bene.
ora, invece di sentirvi rassicurati, provate a pensare che:
– se alle stesse 3mila persone aveste dato da bere del latte, o da mangiare delle uova o una foglia di lattuga, avreste trovato almeno un individuo allergico a tale alimento;
– se alle stesse 3 mila persone aveste dato da mangiare un pezzo di pane, avreste trovato almeno un intollerante al glutine o addirittura un ciliaco;
– per ognuna delle due intolleranze sopra menzionate, ci sarebbe stato almeno uno shock anafilattico o un possibile decesso.
naturalmente, le probabilità che troviate intolleranze e allergie in 3000 individui sono molto maggiori di una. eppure, quando il nostro medico o farmacista ci assicura che il vaccino è completamente sicuro, noi tiriamo un bel sospiro e porgiamo il braccio per il siringone ignoto.

per favore: spegnete la televisione e ragionate con la vostra testa, prima di farvi vaccinare.
i medici, i farmacisti, gli operatori sanitari sono persone come tutti noi. i loro corsi di aggiornamento vengono finanziati dalle case farmaceutiche, le loro ricerche sono pubblicate su riviste che dipendono dalla pubblicità delle aziende di settore e anche loro, come ogni segmento professionale, sono soggetti alle mode e alle terapie più in voga al momento.
non è cattiveria, ma esiste un vizio profondo in tutto il sistema. e il vaccino alla cieca è il risultato ultimo di questo circolo di imbecilli.
però voi, che siete pronti con il braccio, vostro o dei vostri figli, per favore: fate domande e valutate con molta attenzione e capacità critica le risposte.
paesi europei dove la sanità non si gioca durante i festini con le troie nei palazzi del potere, hanno già abbandonato le campagne di vaccinazione obbligatorie dell’infanzia. il calendario che consegna l’ASL per ogni nuovo nato prevede circa 27 inoculazioni nei primi 12 anni di vita. e poi, ogni anno, esiste una campagna di forte pressione mediatica alla vaccinazione degli adulti e delle categorie a rischio (potenzialmente, tutti).
quest’anno il vaccino antinfluenzale è consigliato a donne incinta, operatori sanitari e anziani.
ma nessuno può prevedere che effetto avrà questo vaccino sui feti, nel sangue di chi è più a contatto con le malattie e in chi è fisicamente debilitato.

il virus influenzale è particolarmente versatile e si adatta rapidamente: la campagna di vaccinazione di massa può, paradossalmente, contribuire alla formazione di un ceppo nuovo, più resistente.
se degli anziani moriranno o si aggraveranno le loro condizioni di salute, si potrà dire che è questione di età.
e se ci saranno nuovi nati con problemi, sarà facile dire che erano già presenti nel codice genetico piuttosto che legarli al vaccino.
i vaccini non sono sicuri come si tende a dire con grande leggerezza. e non è così importante realizzare degli studi attendibili perché ogni eventuale danno porterebbe solo alla creazione di nuovi malati che saranno curati dallo stesso sistema che li ha danneggiati.
la storia del novecento riporta purtroppo troppi casi di danneggiamenti di massa causati da teorie mediche non adeguatamente comprovate da una sperimentazione preventiva responsabile.

per favore: prima di vaccinarvi, siate spietati col sistema, massacratelo di domande, chiedete e pretendete. non leggete gli opuscoli colorati dal titolo ingannevole come «vaccinarsi conviene» o «il vaccino mi fa bene» o «se ami tuo figlio, vaccinalo». leggete quello che dice la legge, temporeggiate, rimandate la decisione, esigete i bugiardini e leggeteli con estrema cura. male che vada, quando avrete finito sarà primavera e voi e i vostri cari sarete tutti sopravvissuti alla terribile pandemìa invernale senza danni.
riflettete, pensate, chiedete, discutete, criticate.
nemmeno il latte va bene per tutti.
perché dovrebbe esserlo una siringa piena di tossine e virus?

siccome sono quasi le tre di notte e non riesco a riaddormentarmi

… mi occupo un po’ del blog, ché lo sto trascurando e non poco da qualche mese.

perché sono sveglia?
accidenti, che casino.
poco dopo mezzanotte, una donna strillava aiuto nel vicolo. tutti noi con le finestre aperte sperando in un filo d’aria ci siamo affacciati. il più interventista ha chiamato la polizia. io e il fidanzato siamo scesi in pigiama e ciabatte a soccorrere lei e tranquillizzarla.
trattavasi di una donna in compagnia di suo figlio ventenne o poco più.
lui è in cura per problemi psichiatrici in comunità e da quattro giorni si rifiuta di prendere le sue pillole. stasera ha dato fuori di matto a casa.
la versione della signora è che il figlio abbia alzato le mani su di lei e sul fratellino, costringendola a uscire di notte a cercare del vino e minacciandola di nuovo di fronte alla chiusura di tutti i negozi.

perché sono sveglia?
accidenti, che scena.
intorno alla donna, ci siamo trovati in sei. io la consolavo un po’, dicendole di stare tranquilla. uno protestava perché la polizia ci ha messo un po’ per arrivare e concludeva ‘ecco, questa è l’Italia che ti protegge’. per fortuna, nessuno dei presenti era d’accordo.
il che mi fa dedurre che, sul nostro piccolo campione, almeno il 75% sa che un privato armato di randello non risolve la situazione.
ovvero: la ronda che se ne va in giro a mezzanotte non è mai quella del piacere.
comunque, la polizia è arrivata, addirittura in quattro.
la signora è stata fatta salire in macchina e il ragazzo tempestato di domande.
e poi se ne sono andati.

perché sono ancora sveglia?
accidenti, che casino.
mi pare che, a parte consolare la signora in evidente stato di esaurimento nervoso, avrei potuto anche parlare con il ragazzo. da quando abito qui ne vedo di situazioni così. ci sono ragazzi giovani, belli, forti, con una vita davanti. e si perdono dietro alle miserie che ruotano intorno ai soldi come unico obiettivo di vita. non hanno un posto, per loro è più difficile che per gli italiani. le famiglie non hanno più un padre e alle donne tocca lavorare il doppio perché i figli ci sono e sono spesso tanti. e questi ragazzi si buttano via. inizia che escono a farsi comprare il vino a mezzanotte minacciando la madre e il vino che trovano è poco più che olio del radiatore. poi ci si abituano, stanno in strada, continuano a comprare tetrapack di vinaccio da un euro e poi te li trovi, dopo un po’, che dormono nella piazzetta vicino alle auto, sdraiati sul loro vomito.
non c’era niente che non andava in questo figlio arrabbiato e irascibile. sì, certo: è in cura. ma è soprattutto un ragazzo senza nessuno che si occupi di lui.

è per questo che sono ancora sveglia.
mi chiedo se poteva servire parlarci un po’.
le volte in cui mi è cambiata davvero la vita è stata perché qualcuno mi ha ascoltato e poi mi ha dato un consiglio giusto. non una grande rivelazione, ma un semplice consiglio, uno di quelli che ti fa sentire meno sola e un po’ più confidente nelle tue possibilità.
e questo ragazzo di stasera mi ha fatto una tristezza infinita.
perché mentre arrivava la polizia, lui non se ne andava, anche quando nessuno di noi sapeva che era il figlio della signora e pensavamo fosse un molestatore ubriaco.
non se ne andava perché non sa dove andare.
però, dove sta, non è felice.
d’altronde, è un ragazzo. solo che mi sembra che, se nessuno lo ascolta, rischierà di dimenticare che può avere anche lui dei sogni e il pieno diritto di realizzarli.

La società è anoressica e l’anoressia è una condizione umana

segnalandovi l’uscita in questi giorni della campagna
Se ami qualcuno, dagli peso, mi piace ricordare a ognuno che i disturbi alimentari sono la nostra peggiore e più immotivata sindrome sociale.
non sottovalutatela, anche se credete che non vi riguardi direttamente.

da: Recinzioni Lettrarie – 2 Luglio 2009
Rubrica sui quotidiani del gruppo Athesis

Un’infanzia isolata dal mondo, un padre assente, un patrigno disinteressato, una madre depressa che la vuole per sé e che le chiede di non crescere: la storia di Isabelle Caro è commovente; ma non è una storia isolata. L’incubo inizia un giorno d’inverno, quando Isabelle vede la madre portare a spalle una bombola di 35 kg fino in casa.
Poi, a dodici anni, a una visita pediatrica, scopre di pesare 39 kg e nella sua mente scatta la convinzione di essere un peso per la madre, poiché ha superato la bombola di gas.
Per Natale chiede in regalo una bilancia ed è l’inizio del dramma: Isabelle è una ragazza che ama la vita, intelligente, talentuosa, determinata. Raggiunge tutti i suoi scopi, anche quello di restare legata alla madre e di sopravvivere pesando tra i 26 e i 28 chili. Ogni tanto, scatta il ricovero coatto in ospedale dove la nutrizione con flebo e sondini la porta a 40 kg; ma il ritorno alla sua vita quotidiana comporta anche il recupero del suo peso forma deviato. Finché un giorno, durante una gita a Perpignan con la madre, Isabelle ha l’ennesima crisi che, stavolta, la costringe al coma da cui si risveglia con una sola idea: vivere.
Con un moto di orgoglio e di amore per sé stessa, Isabelle si stacca dalla madre, si trasferisce a Marsiglia, si affida a un bravo medico che l’ascolta e la cura davvero e porta la sua testimonianza alle molte giovani che soffrono del suo stesso disturbo. Nella sua più famosa apparizione, ha posato come modella per la campagna NO ANOREXIA firmata da Oliviero Toscani, che ha shockato il mondo intero.
Isabelle, 31 kg per 1,65 mt, è una ragazza coraggiosa.

La sua storia e quella della campagna di Toscani sono un libro con dvd pubblicato da La Sterpaia (www.lasterpaia.it), per raccontare come un’immagine ha sconvolto il mondo e ha riportato l’attenzione su un problema troppo spesso sottovalutato e che coinvolge non più solo le donne. Perché questa coraggiosa e spudorata campagna ha fatto di più: ha dimostrato come le deviazioni della società dell’immagine si possono combattere efficacemente con la forza di una sola immagine che oppone il contenuto all’apparenza, che non lascia scampo agli indifferenti e che racchiude niente di più di una storia autentica.

Anorexia. Storia di un’immagine di Oliviero Toscani
ed. La Sterpaia, 2008 – 224 pp. con dvd, € 19,90