io questo faccio nella vita: comunico.
lo faccio come lavoro da più di quindici anni.
ma per istinto, per indole, per necessità vitale lo faccio da che ho memoria.
comunico con tutto quello che posso. il mezzo è il linguaggio. lo strumento immediato e istintivo, la voce. quello più razionale e meditato, la parola scritta.
io scrivo, scrivo, scrivo sempre, comunque, dovunque.
se fossi un uomo, forse scriverei anche sulla sabbia. o sulle pareti.
in questi anni ho scritto di tutto, in ogni modo, per chiunque.
ho scritto per gli editori e per gli scrittori, per gli attori e per il loro pubblico, per i preti e per gli sposi. i biglietti d’auguri della mia famiglia li scrivo tutti io, tranne quelli che arrivano a me. ho scritto per far conoscere qualcosa o qualcuno e anche per nasconderlo. ho scritto per raccontare una storia; o perché la storia, così com’era accaduta, venisse dimenticata. ho scritto cose belle che hanno fatto del bene e mi hanno fatto diventare una persona migliore. ho scritto cose che ho dimenticato di aver scritto per non rischiare di invischiarmi troppo con il loro contenuto.
ho scritto perché dovevo e, fortunatamente, quasi sempre l’ho fatto volentieri, a volte addirittura con entusiasmo. di tutto ciò che ho scritto, conservo emozioni e ricordi piacevoli.
perché le parole scritte sono nate da comunicazioni che sono prima avvenute con i linguaggi della vita, quella d’istinto, quotidiana, dei piccoli momenti che diventano grandi nell’intimità della memoria e del ricordo ad anni di distanza.
io comunico perché sono viva. e sono viva solo se riesco a comunicare.
ascolto, parlo, racconto, sento, condivido, raccolgo e medito.
solo così ho il senso di esistere.
ma ci sono momenti in cui le parole non escono e mi rendo conto che ci sono cose che non so dire e che non riesco nemmeno a scrivere. e che c’è una parte di vita che mi sfugge. o che non riesco ad affrontare.
come quando mia figlia vede scorrere nell’indifferenza del flusso televisivo le immagini delle carestie in Somalia e in Corno d’Africa. e di fronte a quel fiume di sofferenza e di parole che per lei non hanno alcun significato vivo, ma che raccontano di morte vera, vicina, senza senso, mi chiede:
«mamma, i bimbi hanno fame. anche loro pappa. no? perché no?»