Posts by nadiolinda

[ da un’intervista che ho rilasciato oggi ]

Negli anni ’90, il premio nobel Amartya Sen ha lanciato un allarme: il mondo stava cancellando generazioni intere di donne. In vent’anni, l’eccidio di genere ha portato alla sparizione di circa cento milioni di donne che non sono mai nate o, se l’hanno fatto, sono state uccise.
O lasciate morire.
In ogni parte del mondo, le donne muoiono ogni giorno in modi diversi.
A volte molto violenti, altre solo più lenti.
Di questo sacrificio collettivo sento l’urgenza di raccontare al più presto.
Perché qualcosa si risvegli, fosse anche un senso di solidarietà e di appartenenza.
Prima che diventi sopravvivenza.

sotto il temporale

dalla mia finestra si vedono due arcobaleni luccicanti, perfetti, completi.
ho pensato di seguirli per vedere se ai loro piedi c’è una pentola d’oro.
fatto.
finiscono entrambi su due banche diverse.
quindi.
la pentola d’oro c’era davvero.
ma è già stata presa.

le cose così

l’acetone
la batteria del telefonino
il sale grosso
la crema solare
il dentifricio
il detersivo della lavatrice
il latte
la farina
gli assorbenti
la crema per i talloni screpolati
l’inchiostro della stampante
il liquido tergicristalli
la ricarica della sim

sono le cose che mi sono venute in mente . quelle che sono proprio così. cioè quelle cose che non hanno un consumo prevedibile.
tutt’altro.
si consumano secondo quattro principi combinati.
il primo è che il loro consumo non è regolare nel senso che per un po’ sembrano infinite poi, d’un tratto, scarseggiano e improvvisamente finiscono.
il secondo è che sanno quando finire.
ed è sempre il momento peggiore.
il terzo è che si consumano preferibilmente la mattina (se si tratta di oggetti d’uso quotidiani) e mentre li stai usando, lasciandoti a un punto clou. comunque, in giorni e orari in cui non puoi provvedere al rimpiazzo immediato.
la quarta, e più significativa, è che quando almeno due di queste cose finiscono improvvisamente, la giornata sarà storta, molto storta.

SNOQ – partire con il piede giusto

riflessioni a dieci giorni di distanza dall’incontro dei comitati territoriali a Siena

l’appuntamento di Siena ha concretizzato quello che era nell’aria da quel famoso sabato di febbraio colorato di rosa e brulicante di voci di donne.
riunendo i comitati territoriali e mettendo ordine tra le proposte e le sollecitazioni raccolte attraverso la rete, il movimento Se Non Ora Quando ha abbandonato definitivamente il Rubygate, ha attraversato il Rubicone e si prepara ad abbattersi come una tempesta socio-politica sulle stanze del potere, quelle dei bottoni e quelle della comunicazione massificata.
Cristina Comencini l’ha detto chiaro e tondo: vogliamo la metà di tutto.
non siamo la metà di un cielo: siamo la metà più attiva di un paese che si ostina a riconoscerci ruoli assistenziali ancorché di necessaria sussistenza.

è molto bello quello che sta accadendo.
è soprattutto molto giusto.
e, come era giusto che fosse, a Siena non ci sono stati leader, scalette blindate di interventi, cappelli politici.
si è scelta la strada dell’unconference: tre minuti di intervento per chiunque avesse qualcosa da dire.
io ci sono stata con mia madre, mia zia e mia figlia.
il confronto è partito già da casa, preparando gli zaini. è continuato lungo il viaggio e non si è fermato per giorni. e anche ora prosegue, quando analizziamo il mondo intorno con occhi ed energia nuovi. abbiamo la sensazione che possiamo davvero cambiare le cose.
e che, a differenza di quanto fatto da decenni di dirigenze maschili, non abbiamo paura di un patto generazionale che comporti compromessi e rinunce fin da subito in cambio di condizioni che ci rendano tutte (e tutti) più felici e solidali.
in qualche modo, la piazza Senese ha dato ragione a Jeremy Rifkin, uno dei più interessanti pensatori sociali del nostro tempo, che nel suo saggio “La società dell’empatia” (Mondadori, 2010) ha teorizzato come la società dell’informazione sia in effetti il prodromo alla società dell’empatia, fondata su valori di condivisione e progresso.
l’unica in grado di salvarci dal disastro prodotto, fino ad oggi, dalla cosiddetta società dell’entropia, fondata sull’individualismo, l’egoismo e l’indifferenza verso il futuro.

a Siena siamo state piene di futuro.
e, come insegna la neuroscienza, quando si tratta di futuro siamo tutti più ottimisti perché vedere il meglio in quello che potrà essere ci aiuta ad essere propositivi e pieni di idee, senza farci prendere dallo sconforto in cui rischia di farci cadere ogni volta l’esperienza.
per questo, dal palco di Siena ho raccolto alcuni avvertimenti che qui ripropongo, perché questo movimento – che è già politico e vuole diventare propulsore di un cambiamento socio-culturale concreto e immediato – parta con forza e consapevolezza.

il primo e più importante è stato richiamato dal palco più volte domenica mattina. i sociologi della comunicazione su web lo definiscono “senso di gruppo”: è quel senso, fortissimo, di appartenenza che si instaura tra persone connesse che condividono gli stessi ideali. nulla di male, certo. se non fosse che il web 2.0 (prossimamente 3.0) non è uno strumento di consultazione inerme bensì un vero e proprio dialogatore invisibile che comunica direttamente con l’utente, prevenendo i suoi interessi e le sue inclinazioni. chi gestisce la rete vuole venderci qualcosa, servizi e prodotti. perciò, ogni volta che clicchiamo, programmi nascosti leggono le nostre scelte e le interpretano per capire i nostri gusti. i dati raccolti sono utilizzati poi, in un secondo momento, per personalizzare la schermata sul nostro computer, offrendoci contenuti, link, banner e altro che sia per noi stimolante.
dunque, fare riferimento alla rete come canale di osservazione primaria del mondo rischia di farci avere una visione distorta della realtà.

il secondo rischio associato al web è che il senso di gruppo rischia di frapporsi (quando non addirittura di annullare) il nostro senso della comunità. quando digitiamo dalla tastiera la nostra opinione e qualcuno ci risponde e concorda con noi, amplificando le nostre convinzioni, abbiamo il senso di “aver fatto qualcosa”, di essere stati dei tele-attori. la verità è che non abbiamo cambiato nulla del mondo e siamo, a tutti gli effetti, ancora semplici tele-spettatori.
quanto più ci addentriamo nella rete, tanto più ci distacchiamo dalla realtà. e cambiare le cose nel reale comporta una dose di impegno, di fatica, di frustrazione, di diplomazia imparagonabili all’interazione nel virtuale.
per questo il suggerimento proposto in diversi interventi sul palco di Siena mi sembra degno di essere accolto e ribadito con forza: i numeri sono rassicuranti, ma sono ancora pochi per cambiare davvero il panorama politico italiano.
senza perdere l’entusiasmo per le vittorie raccolte attraverso la rete, bisogna impegnarci tutte nel coinvolgimento della donna accanto, quella che vive vicino a noi, che non ha la stessa istruzione, gli stessi strumenti, l’alfabeto tecnologico necessario a cercare sul web l’acronimo di quattro lettere che oggi si propone di accoglierla e rappresentarla.
ma è una donna come noi, che vive e patisce le stesse difficoltà. e che, pur senza gli strumenti, ha necessità di non sentirsi da sola o senza via d’uscita da una condizione che ci condanna tutte, indistintamente.

l’ultimo punto, che credo faccia davvero la ricchezza e la differenza di questo movimento (che riesce finalmente a far dialogare in modo costruttivo il mea-culpa delle femministe della vecchia guardia con l’utopica ingenuità delle giovani attiviste) è la territorialità.
un limite ingombrante quando si tratta di avviare un movimento nazionale.
una grande ricchezza quando questo movimento non chiede solo nomi sulle liste di partito, ma si impegna a portare proposte concrete e differenziate sul territorio per rispondere a bisogni diversi.
una risorsa preziosa, infine, perché sulla capillarità dei comitati territoriali e delle associazioni che hanno aderito è possibile tenere vivo il dibattito e il confronto tra i generi e le generazioni per risvegliare la coscienza collettiva che in questi ultimi trent’anni è parsa assopita, a tratti annientata da un qualunquismo e da una rassegnazione desolanti.

quella di Siena è stata, per molti versi, una lezione di democrazia e di dialogo.
lo è stata per una base di donne acculturate e impegnate.
se queste donne sapranno trovare la chiave di comunicazione empatica e solidale con le altre, la maggioranza, tutte quelle che le circondano e che vivono nel mondo degli uomini pensando che quello sia l’ordine naturale e inevitabile delle cose, allora il cambiamento arriverà davvero.
ci vorrà lavoro e impegno.
ma fin da adesso sappiamo con certezza che ne sarà valsa la pena.

indizi

molti anni fa ho perso una cosa importante.
molto importante.
così importante che, perdendola, ho smarrito una parte di me.
perfino quel che ne è rimasto
non si è mai riconosciuta nello specchio
tutto maschile
che le si offriva.
alla fine, ho rigettato tutto.

ma in qualche modo so
che quella cosa così importante mi è sempre mancata.
e il desiderio di ritrovarla mi ha spinto
negli anni
a ricercarne gli indizi.
volevo che tornasse
da me.
ma con un’esistenza nuova.
diversa.
volevo che fosse mia,
che mi aiutasse ad essere felice
riconoscendomi.

sono anni che ne cerco le tracce.
chissà perché
non avevo mai pensato
di cercarle
in provincia di Grosseto.

Struscio da disco e tattiche da zoo – Posta del cuore

da BresciaWeek – BresciaOggi del 26.06.2009

Cara Nadiolinda,
mi dai un consiglio? Io ho 21 anni. Mi piacciono i locali, dove l’età delle ragazze è di solito tra 16 e 19 anni. Vorrei sapere come conquistare le ragazze in discoteca, non per forza per fidanzarmi: cerco anche solo un’avventura notturna. Di solito, quando cerco di farmi notare, la mia tecnica è questa: mentre le ragazze ballano, io mi avvicino e inizio a ballare dietro di loro. Nel frattempo, gli appoggio leggermente la gamba e il davanti sul sedere. Dopo pochi secondi vengo rifiutato, e questo è successo con tutte. Io ci rimango male perché non sono brutto: tanti dicono che sono carino e che ho un bel fisico. E poi non faccio niente di male. Se una viene in discoteca, forse cerchiamo la stessa cosa, no? Insomma: che cosa posso fare? Spero che mi aiuterai (andreglam, mail firmata)

Quello che mi racconti mi ricorda tanto un articolo che ho letto sulle differenze tra scimpanzè e bonobo. Ad esempio, mentre gli scimpanzè si esibiscono in spettacolari esibizioni di forza, i bonobo si limitano a mettersi in mostra, aspettando che le femmine riconoscano che sono ‘carini e con un bel fisico’. Per i bonobo, l’esibizione della disponibilità sessuale è una pratica costante, anche se poi, in effetti, i loro rapporti sono rilassati e casuali. I bonobo maschi praticano una cosa simile alla tua tecnica di struscio, però lo fanno tra di loro: in piedi, schiena contro schiena, un maschio strofina velocemente il suo scroto contro il fondoschiena dell’altro. Visto che la tua tecnica di aggancio ti sembra così infallibile che insisti a praticarla chiedendoti cosa c’è che non va nelle donne che ti allontanano e anzi mi chiedi un consiglio, eccolo qui: prova a usarla su un uomo, come fanno i bonobo. E se anche così non riesce perfettamente, perché non osi di più? Prendi ispirazione e prova a praticare con un amico il cosiddetto penis-fencing, in cui due maschi di bonobo si fronteggiano appesi ai rami strofinando insieme i loro membri eretti. E ti ricordo che la varietà dei contatti erotici tra i bonobo maschi include il sesso orale, il massaggio dei genitali altrui e intensi baci di lingua. Caro andreglam, quello che mi scrivi mi lascia quantomeno perplessa. Che significa che una donna dovrebbe cercare ‘quello che cerchi tu’ perché va in discoteca? Esattamente, a parte un sesso casuale e disinteressato, che cosa cerchi? Rinfodera la bestia nei pantaloni e prova ad dedicarti a un’arte più evoluta, che l’uomo ha sviluppato differenziandosi dai primati. Si chiama linguaggio e la sua evoluzione è la conversazione. So che può sembra davvero difficile, ma dovresti provare: pare che sia molto efficace per interagire con l’altro sesso.

ohi ohi ohi

che pessima blogger sono…
vabbè.
a mia discolpa, farò un po’ il punto su quello che sta succedendo nella vita reale. e che non si dica che me ne sto con le mani in mano.
1. prosegue fino all’8 marzo 2011 l’iniziativa benefica de LA PESSIMA MADRE. noi autrici siamo sempre in giro, dovunque qualcuno ci chiami e abbia voglia di parlare di donne, di maternità, di tutela della salute, di problematiche morali e materiali. e anche di quello che è ormai ufficialmente definitito un gendercidio di massa, pur nella sommaria indifferenza globale.
2. prosegue sempre più intensamente la mia collaborazione con Grazia e i lettori si fanno sempre più affezionati e anche coinvolti. grande soddisfazione!
3. è uscito per BCDe il manuale che ho scritto con Arianna Chieli, OBIETTIVO: MASCHIO! – Primo manuale per cacciatrici metropolitane. con Pinko, stiamo preparando un tour dedicato alla seduzione che toccherà Milano (14/dic), Roma (15/dic) e Napoli (16/dic) nelle boutique del brand. non potete mancare!
4. è in onda la mia rubrica per la nuova edizione di Loveline, condotta dalla spumeggiante Angela Rafanelli. la rubrica si chiama HOT SEX* e la potete trovare in archivio on line a questo link.
…e mentre facevo queste cose, ho dato un piccolo restyle al mio sito web (con un colpo al cuore nell’abbandonare il bellissimo sito progettato e realizzato dal duo ROKOX.
rimane, per gentile concessione, il bellissimo pezzo di Rokton Lo faccio per te che mi piace sempre da impazzire. chissà: forse l’ha fatto anche un po’ per me…
ho anche cambiato il layout del blog: spero vi garbi. un po’ più… non saprei… pulito.
sarà che fuori nevica, sarà che ogni tanto bisogna fare il repulisti anche nella propria vita virtuale.
ah: sto anche correggendo le bozze di un libro che sarà in uscita a inizio 2011 e che raccoglie quattro anni di posta del cuore. e ho finalmente consegnato il romanzo a cui lavoro da ormai tre anni, con l’aiuto e il supporto del prezioso Tomaso.
ecco. più o meno mi pare tutto.
non è molto lo so; ma è già qualcosa.
buona vita anche a voi!

il dito e il calippo

ovvero: la parabola della coatta e della luna

due parole solo sul tormentone dell’estate italiana 2010, la più calda politicamente dai tempi di tangentopoli, la più rovente dal punto di vista economico dato che il tracollo in stile grecia è appena dietro lo svincolo autostradale, la più delicata dal punto di vista morale dato che il bavaglio all’informazione (quella non animata da disvalori quali la faziosità, la prepotenza, l’abuso di potere, l’omertà connivente) trasformerà presto il nostro paese in un regime putiniano, con anne stepanovne politkovskaje fatte sparire e relegate all’oblio mediatico e piccole cecenie che saranno territorio di nessuno per mano di qualcuno, da Palermo a Milano, da Andrate a L’Aquila.
due parole solo sul tormentone del calipo e della bira di due ragazze che col caldo, come chiunque non abbia un disturbo fisiologico della sudorazione, stanno a fà la colla.
due parole sui giornalisti che si rimpallano la notizia inesistente, sugli stimati (da chi?) registi del cinema italiano che richiamano dal mondo dei morti perfino Pasolini quale nume tutelare.
due parole su chi cerca disperatamente qualcosa da dire quando ci sarebbe fin troppo di cui parlare.

il pubblico che guarda e ride non ha bisogno di filosofia perché di quelle due ha già capito tutto quello che doveva da una prima occhiata: minorenni, carine, quasi analfabete. nessuna lode, nessuna infamia, due tra tante.
l’ennesimo giornalista che le intervista e cerca a forza di cavargli fuori un sogno di futuro si risparmi pure la fatica: non succederà.

intanto che in quest’estate di aria puteolente i media cercano disperatamente di attaccarci a forza a questa boccata d’aria fresca, galleggiando nel vuoto pneumatico attendiamo che qualcuno smetta di indicarci il calippo e raggiunga le due ragazze di ostia per svelargli che, quella che gli sembra la luna, è solo una coda nei cessi dell’Hollywood o nel privé del The Club a cercare da sniffare per essere più accondiscendenti a rapporti sessuali.

a questo punto, possiamo anche dirlo: the show must go home.
sottotitolo: ve ne dovete annà!

say *cheese*

2009-2010: poco più di un anno, una taglia in più.
è un momento così. sono sempre stata piuttosto fighetta sul mio fisico. e photoshopparmi diventa sempre più difficile. perché i videoclip istantanei, i filmatini rapid share stanno prendendo il posto perfino degli scatti digitali. non fai tempo a dire ciak che qualcuno ti ha subito uplodato.
e con l’età che avanza e un po’ di panza di circostanza, non mi è più permesso far tanto la ganza.

inutile: non sono mai stata figa.
per quello, ci vuole la genetica.
ma mi sono un po’ immozzarellita e questo mi dispiace assai.

però oggi un amico mi ha segnalato questo piccolo aggeggio e non vi nascondo che mi ha risollevato e non di poco l’umore.
si tratta di una fotocamera che porta il mio nome. e mi assomiglia anche di carattere.
come fa una fotocamera ad assomigliare a una persona? bhè, semplice: è stronza. e non assomiglia a una persona qualunque, bensì a me.
la nadia-cam ti fa mettere in posa, ti inquadra, ti mette a fuoco e poi, prima di scattare, ti dice qual è la tua percentuale di figaggine. ad occhi e croce, il 100% è settato su Giselle.
per tutto il resto del mondo, invece, difficilmente si va sopra il 15-20%, dato che perfino i fiorellini della demo illuminati da un raggio radioso riescono a malapena a raggiungere un 87%.

che dire?
la sento già mia.
averla mi renderebbe la bambina grassa e acneica della pubblicità vigorsol, ve la ricordate? è quella che, sulla spiaggia, chiudeva gli occhi desiderando di non essere la più brutta. e, quando li riapriva, tutti sulla spiaggia erano mooooolto più grassi e brufolosi e brutti di lei.

Nuovi media e diritto alla felicità

tra marzo e maggio sono spesso chiamata a incontri. anzi, come ieri mi ha detto la giornalista Magda Biglia (che, come spesso mi accade, ho incontrato solo dopo aver imparato a stimarla attraverso la sua presenza virtuale) dato che questi anni sono affetti dalla convegnite, la patologia che spinge ad organizzare convegni e seminari su qualsiasi argomento, tra marzo e maggio sono spesso chiamata come ospite e relatrice ai convegni.
il fatto che io scriva di sesso e di relazioni, la docenza post universitaria in pubblicazione etica su web, la collaborazione con la polizia postale e il fatto che quando parlo non è quasi mai per dire che smalto preferisco o per esprimere la mia devozione allo stiletto, mi colloca in una buona posizione per fare la relatrice tappabuchi.

comunque, tra marzo e maggio sono spesso ospite ai convegni. dato che l’8 marzo si festeggiano le donne e la prima domenica nei paraggi dell’8 maggio quelle che sono anche mamme, i temi sono un po’ questi: maternità, pari opportunità, educazione.
e siccome oltre a parlare di web, lo conosco da dentro, ecco che per qualcuno dovrei insegnare ai genitori cosa fare con i propri figli prima che si mettano nei guai in rete.
quello che non posso dire -ma faccio fatica a nascondere- è che non mi piace insegnare. non credo che ci sia nulla da insegnare, soprattutto se viene da me che nel web dissemino primi piani di culo e tette.

e poi insegnare presuppone l’atto di giudicare e quello di sentirsi dalla parte del giusto.
e io non ne sono così sicura.

così, pensando a quello che posso trasmettere (termine che preferisco a insegnare), ho iniziato a proporre un tema che mi ha molto stuzzicato: la ricerca della felicità.

perché, quando si parla di pari opportunità e di rispetto delle persone, al di là del fatto che siano uomini o donne, si parla di un atteggiamento virtuoso e costruttivo che fa parte di una ricerca della felicità, singola e collettiva.
allo stesso tempo, quando si condanna l’utilizzo delle nuove tecnologie, si dimentica quanto queste siano la risposta a richieste specifiche di felicità.
rendersi conto di tutto questo ci rende più empatici e comprensivi.
e fornisce un punto di partenza costruttivo – ben lontano dalle proibizioni e dai divieti, che sono invece un punto di arrivo che coincide col fallimento del dialogo – perché ci ricorda che i nuovi media rispondono a singoli desideri, ma costano la rinuncia a un requisito fondamentale della felicità umana: il contatto.

non si può essere felici se non si condivide la vita, intellettuale e fisica.
il dibattito sulla felicità è attuale ed effervescente.
lascio qui, per le molte donne che si sono fermate e che avrebbero voluto proseguire il dibattito dopo il convegno all’ITG Tartaglia, le slide del mio intervento, ovviamente senza la clip video.

sono naturalmente raggiungibile via mail se volete continuare l’interessante dibattito.
e, mi raccomando: non smettete di perseguire con forza e determinazione il raggiungimento della felicità!