riflessioni a dieci giorni di distanza dall’incontro dei comitati territoriali a Siena
l’appuntamento di Siena ha concretizzato quello che era nell’aria da quel famoso sabato di febbraio colorato di rosa e brulicante di voci di donne.
riunendo i comitati territoriali e mettendo ordine tra le proposte e le sollecitazioni raccolte attraverso la rete, il movimento Se Non Ora Quando ha abbandonato definitivamente il Rubygate, ha attraversato il Rubicone e si prepara ad abbattersi come una tempesta socio-politica sulle stanze del potere, quelle dei bottoni e quelle della comunicazione massificata.
Cristina Comencini l’ha detto chiaro e tondo: vogliamo la metà di tutto.
non siamo la metà di un cielo: siamo la metà più attiva di un paese che si ostina a riconoscerci ruoli assistenziali ancorché di necessaria sussistenza.
è molto bello quello che sta accadendo.
è soprattutto molto giusto.
e, come era giusto che fosse, a Siena non ci sono stati leader, scalette blindate di interventi, cappelli politici.
si è scelta la strada dell’unconference: tre minuti di intervento per chiunque avesse qualcosa da dire.
io ci sono stata con mia madre, mia zia e mia figlia.
il confronto è partito già da casa, preparando gli zaini. è continuato lungo il viaggio e non si è fermato per giorni. e anche ora prosegue, quando analizziamo il mondo intorno con occhi ed energia nuovi. abbiamo la sensazione che possiamo davvero cambiare le cose.
e che, a differenza di quanto fatto da decenni di dirigenze maschili, non abbiamo paura di un patto generazionale che comporti compromessi e rinunce fin da subito in cambio di condizioni che ci rendano tutte (e tutti) più felici e solidali.
in qualche modo, la piazza Senese ha dato ragione a Jeremy Rifkin, uno dei più interessanti pensatori sociali del nostro tempo, che nel suo saggio “La società dell’empatia” (Mondadori, 2010) ha teorizzato come la società dell’informazione sia in effetti il prodromo alla società dell’empatia, fondata su valori di condivisione e progresso.
l’unica in grado di salvarci dal disastro prodotto, fino ad oggi, dalla cosiddetta società dell’entropia, fondata sull’individualismo, l’egoismo e l’indifferenza verso il futuro.
a Siena siamo state piene di futuro.
e, come insegna la neuroscienza, quando si tratta di futuro siamo tutti più ottimisti perché vedere il meglio in quello che potrà essere ci aiuta ad essere propositivi e pieni di idee, senza farci prendere dallo sconforto in cui rischia di farci cadere ogni volta l’esperienza.
per questo, dal palco di Siena ho raccolto alcuni avvertimenti che qui ripropongo, perché questo movimento – che è già politico e vuole diventare propulsore di un cambiamento socio-culturale concreto e immediato – parta con forza e consapevolezza.
il primo e più importante è stato richiamato dal palco più volte domenica mattina. i sociologi della comunicazione su web lo definiscono “senso di gruppo”: è quel senso, fortissimo, di appartenenza che si instaura tra persone connesse che condividono gli stessi ideali. nulla di male, certo. se non fosse che il web 2.0 (prossimamente 3.0) non è uno strumento di consultazione inerme bensì un vero e proprio dialogatore invisibile che comunica direttamente con l’utente, prevenendo i suoi interessi e le sue inclinazioni. chi gestisce la rete vuole venderci qualcosa, servizi e prodotti. perciò, ogni volta che clicchiamo, programmi nascosti leggono le nostre scelte e le interpretano per capire i nostri gusti. i dati raccolti sono utilizzati poi, in un secondo momento, per personalizzare la schermata sul nostro computer, offrendoci contenuti, link, banner e altro che sia per noi stimolante.
dunque, fare riferimento alla rete come canale di osservazione primaria del mondo rischia di farci avere una visione distorta della realtà.
il secondo rischio associato al web è che il senso di gruppo rischia di frapporsi (quando non addirittura di annullare) il nostro senso della comunità. quando digitiamo dalla tastiera la nostra opinione e qualcuno ci risponde e concorda con noi, amplificando le nostre convinzioni, abbiamo il senso di “aver fatto qualcosa”, di essere stati dei tele-attori. la verità è che non abbiamo cambiato nulla del mondo e siamo, a tutti gli effetti, ancora semplici tele-spettatori.
quanto più ci addentriamo nella rete, tanto più ci distacchiamo dalla realtà. e cambiare le cose nel reale comporta una dose di impegno, di fatica, di frustrazione, di diplomazia imparagonabili all’interazione nel virtuale.
per questo il suggerimento proposto in diversi interventi sul palco di Siena mi sembra degno di essere accolto e ribadito con forza: i numeri sono rassicuranti, ma sono ancora pochi per cambiare davvero il panorama politico italiano.
senza perdere l’entusiasmo per le vittorie raccolte attraverso la rete, bisogna impegnarci tutte nel coinvolgimento della donna accanto, quella che vive vicino a noi, che non ha la stessa istruzione, gli stessi strumenti, l’alfabeto tecnologico necessario a cercare sul web l’acronimo di quattro lettere che oggi si propone di accoglierla e rappresentarla.
ma è una donna come noi, che vive e patisce le stesse difficoltà. e che, pur senza gli strumenti, ha necessità di non sentirsi da sola o senza via d’uscita da una condizione che ci condanna tutte, indistintamente.
l’ultimo punto, che credo faccia davvero la ricchezza e la differenza di questo movimento (che riesce finalmente a far dialogare in modo costruttivo il mea-culpa delle femministe della vecchia guardia con l’utopica ingenuità delle giovani attiviste) è la territorialità.
un limite ingombrante quando si tratta di avviare un movimento nazionale.
una grande ricchezza quando questo movimento non chiede solo nomi sulle liste di partito, ma si impegna a portare proposte concrete e differenziate sul territorio per rispondere a bisogni diversi.
una risorsa preziosa, infine, perché sulla capillarità dei comitati territoriali e delle associazioni che hanno aderito è possibile tenere vivo il dibattito e il confronto tra i generi e le generazioni per risvegliare la coscienza collettiva che in questi ultimi trent’anni è parsa assopita, a tratti annientata da un qualunquismo e da una rassegnazione desolanti.
quella di Siena è stata, per molti versi, una lezione di democrazia e di dialogo.
lo è stata per una base di donne acculturate e impegnate.
se queste donne sapranno trovare la chiave di comunicazione empatica e solidale con le altre, la maggioranza, tutte quelle che le circondano e che vivono nel mondo degli uomini pensando che quello sia l’ordine naturale e inevitabile delle cose, allora il cambiamento arriverà davvero.
ci vorrà lavoro e impegno.
ma fin da adesso sappiamo con certezza che ne sarà valsa la pena.