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mi sono persa qualcosa

ieri sera sono andata al cinema.
ogni tanto mi chiedo perché non ci vado più spesso, perché il cinema mi piace. nonostante il pubblico, che è peggio nelle multisale e un po’ meno peggio nei cinema-cinema.
sono andata a vedere l’ultimo film dei fratelli coen, ‘burn after reading’.
molto divertente, devo dire. una sceneggiatura geniale e tutti gli attori reggono. si vede che si sono divertiti.

l’ingresso mi è costato setteeuroesettantecentesimi.

7,70€ a casa mia valgono circa 15.000 £.
con quindicimilalire, mica tanto tempo fa, andavo al cinema e poi ci stava pure da bere e anche una pizza. certo, tutto un po’ tirato. però ci stava.
esattamente…cosa mi sono persa nel mezzo??

in-sight

ieri sera è passato a trovarmi un amico. sua moglie fa la psicoterapeuta e lui mi ha parlato dell’in-sight, ovvero di quelle cose che dette, anche senza intenzione precisa, lavorano da sole nella nostra coscienza in maniera autonoma per un tempo indefinito. e che un giorno, come la lampadina di archimede, diventano improvvisamente delle verità così ovvie e lampanti da cambiarti la vita.

pensavo a queste lampadine: quante se ne sono accese nei miei pochi anni e quante, senza che io voglia (o possa) ammetterlo, stanno lavorando per farmi cambiare di nuovo.

ci pensavo oggi che finisco il mio primo digiuno invernale.
prima di gennaio, voglio farne altri due. il digiuno è entrato nella mia vita come la pratica di rifugio più rassicurante. quando digiuno, mi sento davvero bene. è il corpo che risponde e, devo dire, risponde sempre perfettamente. mercoledì tornerò a un’alimentazione regolare, dopo qualche giorno di reintegro graduale.
gandhi diceva che tutti possono digiunare; ma ci vuole saggezza nell’interrompere il digiuno.

ho osservato in questi giorni come il digiuno metta a disagio le persone che mi sono vicine. al cibo sono legati momenti di vicinanza e convivialità. rifiutare il cibo è rifiutare la persona che lo offre. inoltre, il nostro istinto animale ci fa digiunare quando in noi sono in corso stati patologici o infiammatori, come cronicità,febbre o infiammazioni. dunque, inconsciamente, leghiamo il digiuno alla malattia.
quando io dico che sono in digiuno, la prima reazione è di rimprovero. lo vedo soprattutto nelle donne adulte, che hanno imparato ad adottare il codice della madre. la seconda è di derisione o svilimento: mi si chiede perchè, se voglio dimagrire o se fingo. poi, qualcuno abbandona e si allontana, anche fisicamente. la maggior parte mi chiede dettagli e qualcuno mi dice che vorrebbe provare.
regolarmente, poi, vengo rifiutata. nel senso che le occasioni in cui si sta insieme sono legate indissolubilmente alla possibilità di consumare cibi o bevande dal gruppo. e il gruppo, per sua stessa definizione, non ammette che un individuo si mantenga isolato.

le uniche persone che non hanno mai giudicato il mio digiuno secondo questo schema sono due: rinaldo, che ieri sera ha condiviso con me una tisana; e paolo, che come padre ha un medico che utilizza regolarmente il digiuno per curare con successo i suoi pazienti per stadi infiammatori (per la peritonite bastano due giorni) e tumorali.
i miei colleghi, che hanno assistito al mio ottimo stato giorno dopo giorno, hanno finito con l’accetare la cosa, pur senza capirla.

oggi, a chiusura di questa settimana, mi sono regalata un giorno di solitudine.
questa mattina sono uscita a comprare della musica classica. barocca, per la precisione. scarlatti e bach, a dirla tutta.
poi ho chiesto al mio fidanzato di non disturbarmi e mi sono immersa nella lettura di Giordano. ‘La solitudine dei numeri primi’ è un buon libro. capisco perchè sia piaciuto molto.
io mi sono ritrovata in molte fasi che passa alice, la coprotagonista insieme a mattia.
il suo dolore interiore che diventa uno stato anoressico permanente e un egoismo ottuso e inspiegabile, sono per me fasi note. l’anoressia del corpo è anche anoressia del cuore.
mattia e alice hanno ognuno un dolore proprio che gli segna l’esistenza, giorno dopo giorno. ma in questo libro, la solitudine è palpabile. così come l’assenza del desiderio di riprodursi.
a mio avviso, due sono i punti di forza nello scritto di giordano.
il primo, è un presente fatto di silenzio e di pudore, di distanza dall’altro, di gesti che si finisce sempre per non fare perché sarebbero inappropriati. tutti i suoi personaggi sembrano pentole a pressione. invece sono solo dei normali sconfitti.
e poi c’è il senso del diventare adulti, ovvero del prendersi le responsabilità dei proprio gesti, misurandone sempre le conseguenze. nonostante il dolore e le cicatrici, in qualche modo, la vita va avanti. a volte per scelte impulsive. a volte perché si decide fingendo di non farlo, come se le cose potessero prendere davvero una direzione in piena autonomia.
c’è un punto, verso la fine, in cui alice sente che mattia è il suo amore per la vita. e un modo c’è per tenerselo. quello di alice e mattia è un amore che è nato vicino a un baratro e solo lì può continuare a esistere. basterebbe una sola parola di lei ed entrambi saprebbero tornare nella dimensione che li ha uniti.
ma poi lei non lo fa perché sarebbe egoista.
è un bel momento nel libro: una scelta consapevole; perché, da adulto, sai che la vita è fatta di cose piccole, una dietro l’altra, come le tessere del domino. e che, a un certo punto, se fai scoppiare una bomba, puoi cambiare tutto d’improvviso, certo. ma poi devi di nuovo rimettere insieme le tessere, una dietro l’altra.

se devo essere sincera, la mia debolezza, in questo digiuno, è stato non riuscire a rinunciare alla mia vita virtuale.
ma ce ne saranno altri, in futuro.

facciamo qultura

non so voi, ma io non ne posso più di alitalia. e chissenefrega, scusate tanto. ci sono un sacco di aziende che chiudono e falliscono e altre che vanno benissimo eppure lasciano a casa persone già in difficoltà nella più totale indifferenza.
e non ne posso più io, ascoltatrice di radio24, di sentire dipendenti e pensionati alitalia che parlano del loro lavoro come se fosseri i medici senza frontiere.
basta. che palle.
non voglio pagare i debiti di una compagnia fallimentare. anzi: pretendo che i registri finiscano in tribunale e che saltino fuori le responsabilità penali. eccheccazzo.

scusate lo sfogo.
il titolo del post si riferisce davvero a un po’ di qultura con la Q come qualità.
sabato scorso, per OrienteOccidente, il festival di danza contemporanea e relative contaminazioni che si tiene ogni anno a Rovereto, ho assistito alla produzione di Vandekeybus insieme alla compagnia Ultima Vez.

SPIEGEL è uno spettacolo incredibile, che raccoglie oltre ventanni di lavoro di un coreografo che è prima di tutto un artista onnivoro.
sul palcoscenico, vuoto, con un fondale rosso, entra lui, come un cavallo ibizzarrito. e lo è davvero, quando crea: sospende i suoi danzatori tra il sogno e il delirio, combinandoli in oltre 90 minuti di sforzi fisici all’estremo. donne e uomini lottano, si inseguono, saltano, creano il ritmo della loro danza o si fondono con le musiche di David Byrne, Marc Ribot, Thierry De Mey, un tappeto sonoro da sentire nelle viscere.

vedere oggi uno spettacolo di danza contemporanea, significa assistere al’ultima vera manifestazione di arte generosa.
un danzatore non ha altro mezzo di espressione se non il proprio corpo. è dunque completamente esposto nella sua fisicità e vero, poiché ogni volta danza con un’energia diversa, nuova.
dalla danza contemporanea, che è nata per contrastare le regole e l’ingessatura della classica e per esprimere molto più che i tormenti del melodramma, attingono a piene mani tutti i linguaggi mediatici che conosciamo: il cinema, la pubblicità, l’estetica della comunicazione.
la fisicità della danza e la necessità di conoscere per apprendere dei ballerini, sono ancora il tramite attraverso cui le culture si confrontano e si mescolano.
Vandekeybus ha un’energia che è fiamminga e una passione che è mediterranea.
le sue macchine sceniche sono prove di forza, lotte instancabili; coreografie di contact.dance così coinvolgenti ed estreme che riescono a restituire perfettamente l’attrazione e la forza che sempre ha il contatto con l’altro, anche nella vita.


e vedere la danza contemporanea fa bene anche per ricordarci che abbiamo un corpo, perfetto nella sua fisicità, forte quando viene utilizzato, bello se è un corpo vero, fisico, che si muove nel mondo con una dignità che è solo sua.

psicologa? …no, impicciona.

stamattina è uscito un bell’articolo su BresciaOggi che ‘lancia’ (non dalla finestra…) la mia posta del cuore. la tengo a partire da domani su BresciaWeek, un settimanale che è distribuito su Brescia e provincia.
se state cazzeggiando, potete leggerlo cliccando sulla figurina …che mi rifiuto di chiamare thumbnail !!

pubbicherò anche sul blog le risposte della rubrica. da quando è uscito il libro, ricevo molte mail che mi chiedono consigli di cuore. io che mi sono sempre vantata di non capire una fava di relazioni e di essere la peggiore morosa che si possa incontrare, mi ritrovo a fare da consigliera. come dire: il peggio può sempre aggravarsi.
comunque, stamattina la mia barista legge il giornale e mi riconosce. chissà come ha fatto: quell’autoscatto in stile cyrano de bergerac l’ho fatto anni fa…
e insomma, mi riconosce e mi fa un sacco di domande, per appurare il fatto di non aver fatto pagare un cappuccio due euro a una ‘famosa’. io me la tiro un po’, sognando già colazioni omaggio. ma poi, mentre mi allunga lo scontrino, mi chiede:
– ma come mai tieni queste rubriche? sei psicologa?
io leggo dueeuroeventi sullo scontrino, mi si azzera il sorriso, estraggo le monete e ribatto:
– no, signora, sono una semplice impicciona. mi piace farmi i cazzi degli altri.

et voilà!
perché la classe è classe.
buongiorno a tutti!

ci tengo a ringraziarvi

ieri ero veramente abbattuta.
ci tenevo a ringraziarvi, amici virtuali, perché mi avete riempito di abbracci e di ‘ci sono passato anch’io’ e anche ‘ti capisco’.
oggi, sul sito della sua creatura, che è un gatto terribile e si chiama MAOW, un caro amico mi ha fatto trovare una sorpresa che mi ha commosso.
oggi sto meglio, naturalmente.
ho un po’ di nostalgia nelle piccole cose di tutti i giorni, quando la mia gatta mi faceva compagnia a modo suo. è stata una buona scelta e ne sono ancora convinta.
domani starò ancora un po’ meglio.
anche grazie a voi.

sinceramente, di cuore.

Tappo meritava di morire

di solito cerco di non scrivere cose troppo personali.
a meno che non comportino riflessioni interessanti e generali, mi astengo dall’utilizzare il blog come surrogato di una smemoranda.
però oggi sono molto triste. e la mia vita virtuale partecipa della mia vita reale con un peso non indifferente. perciò, mi prendo il permesso di essere triste anche qui.

poco prima delle 11, questa mattina, la mia micia, che si chiama Tappo, è morta.
avevo scelto quel nome perché mi faceva ridere.e poi perché lei ha imparato subito a riconoscere i suoni. così, potevo anche chiamarla ‘tappo, tappo’ o ‘brutta puttana’ e lei arrivava trottando tutta baldanzosa sperando in un rabbocco di croccantini. era una gattina bellissima, tutta bianca bianca con le finiture rosa sulla punta delle orecchie e sulle zampotte. era giocherellona e affettuosa e, alle volte, incredibilmente intelligente.
agli inizi di aprile aveva compiuto 3 anni.
era ammalata, come succede spesso ai gatti bianchi, che sono bianchi proprio perché hanno qualcosa che non va nel loro dna. dopo cinque biopsie, antibiotici continui per mesi e cinque iniezioni di cortisone, continuava a peggiorare.
le si facevano piaghe intorno al muso e sulla pancia. lei si grattava e dopo poco diventavano carne viva.

le analisi dicevano che non aveva nulla.
nemmeno gli anticorpi.
ne abbiamo parlato a lungo, col veterinario. continuando con gli antibiotici e il cortisone, potevamo essere fortunati e si sarebbe stablizzata. lei avrebbe sofferto, anche se non si sarebbe lamentata. e io mi sono chiesta se le facevo del bene o, in verità, la torturavo pur di non restare senza la sua compagnia.
e alla fine ho scelto quello che era meglio per lei, perché un animale non può capire la differenza tra cura e accanimento.
farla morire è stata una scelta responsabile, mi dico.
non sarebbe migliorata.
avrebbe sofferto.
sempre e solo peggio.
si è addormentata tranquillamente e poi è morta. se c’è un paradiso per i gatti, lei chiederà un menù fisso di sgombro ai ferri, hamburger, grasso di prosciutto, fagiolini arrosto e biscotti bresciani.

tutto questo, unito alla mia razionalità e al mio buonsenso, non mi impedisce naturalmente di essere molto triste. chiedo scusa se queste righe conterranno degli errori. faccio fatica a scrivere.
è solo che mi mancherà la mia puttanella bianca, pisciona e miagolosa.
mi mancherà un sacco.

rassegnata per la stampa

ricevo spesso richieste di leggere manoscritti, scritti, racconti, post.
se posso, lo faccio. e cerco anche sempre di dare consigli ed essere gentile e costruttiva. in qualche modo, sono incoraggiante. e non ho problemi a considerare che siamo in tanti a scrivere e che ci sono molte persone che hanno cose da dire e sanno scrivere bene.

siccome c’è il mio indirizzo mail in chiaro sul sito, ricevo molto materiale. da quando ho un minimo di visibilità, ossia da febbraio 2008, ho ricevuto (diciamo) circa una ventina di scritti di varia natura da analizzare. di questi, almeno 5 erano validi per contenuto o stile. di questi, due erano validi in toto. dunque, la percentuale di cose valide che ho letto si aggira intorno al 10%.
pensavo che è una buona percentuale, tutto sommato. il che relativizza ancora di più il mio concetto di ‘brava sulla carta’. questo mi aiuta moltissimo a ribattere a chi mi dice che ogni tanto dovrei tirarmela un po’ di più.

il mese prossimo, a un festival, farò un incontro con dei ragazzi delle scuole, li premierò per un concorso letterario e chiacchiereremo di editoria.
la prima cosa che gli dirò, sarà senz’altro che saper scrivere bene non vuol dire niente. bisogna anche avere qualcosa da dire, dirlo in modo chiaro, sapersi mettere da più lati quando si comunica e continuare a confrontarsi con tutti, altri scrittori e i lettori.
e poi gli dirò di non tediare con inutili richieste di attenzione ogni persona che ha pubblicato. di tutti gli scritti che mi son arrivati, oltre l’ottanta per cento non c’entra con me, con quello che scrivo io. dunque, a parte un giudizio, non posso aiutare queste persone. e mi sono pure beccata della stronza, guarda un po’. c’è chi legge per mestiere: si chiamano editor.
questo per il prossimo che mi chiederà di leggere un suo piccolo raccontino su myspace, insistendo con messaggi giornalieri a cui, prima o poi, risponderò davvero a tono.

nel frattempo, per essere ancora meno selfpromoter su myspace, ho dirottato la mia cartella stampa al link collegato al banner qui sotto, che c’è anche nel mio profilo.
è necessario mettere un po’ di ordine.
il web offre non solo spazio a tutti, ma da anche la possibilità di raggiungere chiunque. questo comporta una maggior discrezione e, soprattutto, una grande umiltà. nel calderone, siamo tutti gli stessi. il divismo da web è una sòla.
e al tizio che da giorni mi scrive ‘ti piaccio’, ‘vuoi conoscermi’, ‘cosa ne pensi di me’ ho fatto il malocchio: gli cadranno le palle al prossimo click!

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Intervista su Comunitazione

Intervista apparsa su Comunitàzione
di L. Gorini
potete leggere l’originale a questo link

Nadiolinda: vi racconto io come vogliono amarsi i giovani d’ oggi
di laura gorini

L’autrice bresciana di Se non ti piace dillo. Il sesso ai tempi dell’happy hour si svela a Comunitazione

Nadiolinda è una giovane scrittrice bresciana.
Acuta e spredigiudicata come poche
ha deciso di dare sfoggio delle sue esperienze
in campo amoroso nel suo primo romanzo,
edito da Mondadori.

Nadia perché scrivere un romanzo dal titolo “Se non ti piace dillo. Il sesso ai tempi dell’happy hour”?
La nascita di questo libro è stata quanto mai casuale. Io avevo voglia di scrivere come le vedevo io queste relazioni da inizio millennio: caotiche, disordinate, ansiose, insoddisfacenti. Avevo voglia di guardare un po’ più in là e cercare un punto di inizio che potesse fare un po’ da bandolo della matassa.Fuori di metafora, la domanda a cui ho cercato di rispondere è stata: come abbiamo fatto a ridurci così? Senza giudicare nessuno, ho cercato di ironizzare su tanti comportamenti che spesso ci si porta addosso; come un vestito che magari è alla moda, ma non ci valorizza come vorremmo.Volevo che ognuno si riconoscesse per poter ridere di sé e, magari, avere un momento di riflessione su cosa vuole davvero dalle relazioni e dall’amore.

Credi veramente che ci sia un legame tra il sesso e l’ora dell’aperitivo?
L’happy hour è un veramente un luogo metafisico, nel senso che non esiste.
E’ un limbo, un purgatorio, un luogo in cui si attende qualcosa di migliore o di peggiore e in cui, però, non si può star fermi.
Si mangia, ma non si cena. Si brinda, ma non ci si ubriaca. Si sta insieme, ma non perché duri.

I ragazzi di oggi dunque sono più propensi a cercare una storia di una notte piuttosto che una storia seria e duratura?
Non è così semplice. Le storie durature, che immagino tu identifichi come ‘Il grande amore’ non è per tutti. Nelle relazioni entrano in campo la statistica e la fortuna.
Per avere una relazione decente devi passare centinaia di incontri pessimi e decine di appuntamenti disastrosi o di basso livello.
Perché una di queste relazioni sia un amore che dura una vita devi avere una fortuna smaccata. E, comunque, non è detto che un grande amore possa trasformarsi in una convivenza serena o in un rapporto soddisfacente: a volte ci si ama pazzamente, ma stare insieme diventa impossibile.

Nel tuo romanzo parli per lo più di sesso e non di amore. Credi che ci sia una così netta differenza tra i due?
Il sesso è difficile da gestire: quando si è nudi in un letto, si diventa nudi anche con l’anima.
E lì è necessario ancora di più essere sinceri, con se stessi e con l’altro.
Capita di avere fantasie sessuali che il partner non condivide o disapprova addirittura e allora il sesso può diventare davvero un problema.Così come spesso l’intimità viene usata per catalizzare o risolvere i conflitti. Insomma: al sesso si chiede spesso di essere quello che non è.
Io credo che la conoscenza del piacere e l’appagamento sia un percorso personale, da svolgere lungo tutta una vita. E che è necessario essere tolleranti e comprensivi, senza giudicare a priori. La libertà e l’autocoscienza sono ancora un traguardo da raggiungere per molte persone. E di certo, il bombardamento mediatico di modelli fuorvianti non aiuta.

In molte foto sul tuo My Space ( www.myspace.com/nadiolinda) ti fai ritrarre in pose sexy e seminuda. Non ti imbarazza posare senza veli?
Cara mia: su Myspace io sono un’educanda! Ci sono avatar così espliciti –e quasi mai maggiorenni- che riescono ad essere davvero imbarazzanti. A me vien voglia di conoscerli per chiedergli se anche nella loro vita reale vanno in giro così. Con le fotografie, in effetti, gioco spesso sulla seduzione, che non è mai esplicita. Molte foto me le scatta il mio fidanzato: quelle davvero private e sexy rimangono chiuse a chiave nel cassetto.

In generale cosa ne pensi delle giovani che oggigiorno sono pronte a tutto pur di sfondare nel dorato mondo dello spettacolo?
La micronotorietà è un fenomeno diffusissimo, arrivato con i reality ai massimi livelli.
Ma poi c’è una cosa che si chiama ‘mestiere’ che è fatto di lavoro, studio, applicazione, gavetta, umiltà. E quello sono in pochi a poterlo fare.
E dovremmo parlare del perché molte donne -ma anche uomini, non credere!- sono pronte a tutto.
Quando nacquero le prime vallette, anni fa, un noto presentatore (credo Arbore, ma non ne sono sicura) ebbe a dire che facevano la stessa funzione del cestino della carta straccia: portavano la busta al conduttore intatta e la riportavano via rotta. Ma la migliore l’ho sentita dalla mamma di una letterina, che quando la figlia le ha detto che ‘ce l’aveva fatta’, ha sentenziato: ‘A me sembra solo che ti sei fatta togliere le mutande da tutta Italia’. La mamma l’ha vista giusta!

Il tuo romanzo inizia con una scena piuttosto forte: tu che abbandoni il tuo fidanzato storico in autogrill in una maniera poco ortodossa. Ma nella vita, se non erro, sei felicemente fidanzata. La domanda dunque nasce spontanea…Quanto c’è di autobiografico nel testo?
Io sono diversa da quello che scrivo, ma in quello che scrivo, ovviamente, ci sono anch’io. La storia di ognuno non interessa a nessuno.
Se si scrive per parlare di un tema comune, è bene creare una situazione di vita in cui in molti possano riconoscersi e ritrovarsi, che assomigli a ognuno senza calzare a nessuno.
Si: il fidanzato ingegnere l’ho piantato in malo modo.
D’altronde, eravamo a una situazione terrificante: anche se non ho voluto tediare tutta Italia con la nostra penosa relazione, questo non significa che lui fosse davvero uno “stronzo” e che stare con lui mi ha insegnato esattamente cosa non voglio mai più in una relazione.
Mi hanno scritto diverse lettrici dicendomi che anche loro hanno avuto rotture simili alla mia, durante viaggi in moto.Perciò, uomo, se vuoi far felice la tua donna e rimanere fidanzato, vattene in moto con chi vuoi, ma in vacanza solo su quattro ruote!

Nadia nella vita reale com’è? È molto differente da Nadiolinda?
Non direi: io scrivo come parlo; e parlo come mangio.
E mi piace molto il piccante.
Nadiolinda è un bel personaggio, che è doppio, come me.
Ha momenti di riflessione, ma per lo più si diverte a dissacrare.
Nadia è sostanzialmente più analitica, più riflessiva.
E’ Linda la vera festaiola, che sa sempre come sdrammatizzare.
Nella vita, io sono un gemelli ascendente bilancia: essere doppia fa parte di me.
E Nadiolinda, in fondo, sono io, con tutte le mie contraddizioni.

A proposito perché questo nomignolo?
Un soprannome nato per caso da una collega di lavoro.
Anni fa, quando lavoravo in università, un giorno mi chiama la mia collega Piera e mi dice: ‘Ciao Nadiolinda. Come stai?’. Lei era felice e di buon umore e questo soprannome ha messo di buon umore anche me.
Me lo sono sentito immediatamente mio, da subito.E da allora siamo inseparabili.

E ora dopo un romanzo così “hot” che cosa possiamo e dobbiamo aspettarci da Nadiolinda? Come sarà il tuo prossimo romanzo?
Qualche chicca in merito?Ci sono molti progetti in cantiere, quasi tutti sull’orlo di diventare reali. Un romanzo, un libro a quattro mani con un amico giornalista, dei racconti e forse una raccolta dei miei articoli su Grazia, su cui tengo una rubrica dal titolo ‘Il sesso a tempi dell’happy hour’, per l’appunto. Più di così non posso dire, ma prometto di aggiornare il sito e i miei spazi web con ogni novità!