ieri sera è passato a trovarmi un amico. sua moglie fa la psicoterapeuta e lui mi ha parlato dell’in-sight, ovvero di quelle cose che dette, anche senza intenzione precisa, lavorano da sole nella nostra coscienza in maniera autonoma per un tempo indefinito. e che un giorno, come la lampadina di archimede, diventano improvvisamente delle verità così ovvie e lampanti da cambiarti la vita.
pensavo a queste lampadine: quante se ne sono accese nei miei pochi anni e quante, senza che io voglia (o possa) ammetterlo, stanno lavorando per farmi cambiare di nuovo.
ci pensavo oggi che finisco il mio primo digiuno invernale.
prima di gennaio, voglio farne altri due. il digiuno è entrato nella mia vita come la pratica di rifugio più rassicurante. quando digiuno, mi sento davvero bene. è il corpo che risponde e, devo dire, risponde sempre perfettamente. mercoledì tornerò a un’alimentazione regolare, dopo qualche giorno di reintegro graduale.
gandhi diceva che tutti possono digiunare; ma ci vuole saggezza nell’interrompere il digiuno.
ho osservato in questi giorni come il digiuno metta a disagio le persone che mi sono vicine. al cibo sono legati momenti di vicinanza e convivialità. rifiutare il cibo è rifiutare la persona che lo offre. inoltre, il nostro istinto animale ci fa digiunare quando in noi sono in corso stati patologici o infiammatori, come cronicità,febbre o infiammazioni. dunque, inconsciamente, leghiamo il digiuno alla malattia.
quando io dico che sono in digiuno, la prima reazione è di rimprovero. lo vedo soprattutto nelle donne adulte, che hanno imparato ad adottare il codice della madre. la seconda è di derisione o svilimento: mi si chiede perchè, se voglio dimagrire o se fingo. poi, qualcuno abbandona e si allontana, anche fisicamente. la maggior parte mi chiede dettagli e qualcuno mi dice che vorrebbe provare.
regolarmente, poi, vengo rifiutata. nel senso che le occasioni in cui si sta insieme sono legate indissolubilmente alla possibilità di consumare cibi o bevande dal gruppo. e il gruppo, per sua stessa definizione, non ammette che un individuo si mantenga isolato.
le uniche persone che non hanno mai giudicato il mio digiuno secondo questo schema sono due: rinaldo, che ieri sera ha condiviso con me una tisana; e paolo, che come padre ha un medico che utilizza regolarmente il digiuno per curare con successo i suoi pazienti per stadi infiammatori (per la peritonite bastano due giorni) e tumorali.
i miei colleghi, che hanno assistito al mio ottimo stato giorno dopo giorno, hanno finito con l’accetare la cosa, pur senza capirla.
oggi, a chiusura di questa settimana, mi sono regalata un giorno di solitudine.
questa mattina sono uscita a comprare della musica classica. barocca, per la precisione. scarlatti e bach, a dirla tutta.
poi ho chiesto al mio fidanzato di non disturbarmi e mi sono immersa nella lettura di Giordano. ‘La solitudine dei numeri primi’ è un buon libro. capisco perchè sia piaciuto molto.
io mi sono ritrovata in molte fasi che passa alice, la coprotagonista insieme a mattia.
il suo dolore interiore che diventa uno stato anoressico permanente e un egoismo ottuso e inspiegabile, sono per me fasi note. l’anoressia del corpo è anche anoressia del cuore.
mattia e alice hanno ognuno un dolore proprio che gli segna l’esistenza, giorno dopo giorno. ma in questo libro, la solitudine è palpabile. così come l’assenza del desiderio di riprodursi.
a mio avviso, due sono i punti di forza nello scritto di giordano.
il primo, è un presente fatto di silenzio e di pudore, di distanza dall’altro, di gesti che si finisce sempre per non fare perché sarebbero inappropriati. tutti i suoi personaggi sembrano pentole a pressione. invece sono solo dei normali sconfitti.
e poi c’è il senso del diventare adulti, ovvero del prendersi le responsabilità dei proprio gesti, misurandone sempre le conseguenze. nonostante il dolore e le cicatrici, in qualche modo, la vita va avanti. a volte per scelte impulsive. a volte perché si decide fingendo di non farlo, come se le cose potessero prendere davvero una direzione in piena autonomia.
c’è un punto, verso la fine, in cui alice sente che mattia è il suo amore per la vita. e un modo c’è per tenerselo. quello di alice e mattia è un amore che è nato vicino a un baratro e solo lì può continuare a esistere. basterebbe una sola parola di lei ed entrambi saprebbero tornare nella dimensione che li ha uniti.
ma poi lei non lo fa perché sarebbe egoista.
è un bel momento nel libro: una scelta consapevole; perché, da adulto, sai che la vita è fatta di cose piccole, una dietro l’altra, come le tessere del domino. e che, a un certo punto, se fai scoppiare una bomba, puoi cambiare tutto d’improvviso, certo. ma poi devi di nuovo rimettere insieme le tessere, una dietro l’altra.
se devo essere sincera, la mia debolezza, in questo digiuno, è stato non riuscire a rinunciare alla mia vita virtuale.
ma ce ne saranno altri, in futuro.