Posts by nadiolinda

mi pento di cuore

queste sono state le prime parole che ha pronunciato Josef Fritzl, noto ormai con il nome ben più calzante di “mostro di Amstetten”, condannato ieri all’ergastolo da scontare in manicomio.
per dovere di cronaca, le sue parole esatte sono state: “Mi pento con tutto il mio cuore per quello che ho fatto alla mia famiglia. Purtroppo non posso più fare niente di buono. Posso solo provare a limitare i danni per quanto possibile”.
e vabbè.
consideriamo il lato positivo: in austria la giustizia funziona.
e tutto sommato, funziona bene.

ma non è questo di cui volevo scrivere.
sono giorni in cui vivo completamente straniata, come se mi trovassi in una realtà parallela.
la stessa realtà parallela dove un mostro come Fritzl può ancora dire di ‘avere un cuore’ o ammettere di potersi ‘pentire’.
chi di voi ignorasse la vicenda, può trovarne molte tracce nella rete.
la storia di Elizabeth, figlia del mostro, sequestrata per 24 anni dal padre e costretta a vivere coi figli dell’incesto in un ricavo di cantina di 11 mq, supera anche il più brutale dei romanzi partoriti dal più malato degli autori. esiste una realtà mostruosa in cui mi trovo immersa in questi giorni e che mi paralizza. ogni tanto, quando penso di averci trovato un senso, come alice nel paese delle meraviglie, mi accorgo che le strade non portano da nessuna parte e che ho ascoltato ingenuamente i consigli di uno stregatto svanito.

la cosa meno ‘grave’ a cui assisto in questi giorni è la vergognosa campagna Enel per gli abbonamenti al consumo di energia secondo la ‘tua taglia’.
considerate bene che questa ‘allettante’ offerta è in realtà una colossale fregatura.
la taglia più piccola, infatti, costa 12€/mese+tasse.
personalmente, io consumo molto meno perché l’anno scorso, con il decreto bersani, ho usufruito gratuitamente del passaggio alle tariffe bio-orarie, che permettono un risparmi di oltre il 30% se si consuma energia nelle fasce in cui è meno richiesta (h.19-08 e weekend).
quella di enel è una pessima offerta e, inoltre, costituisce un grosso passo indietro rispetto a un’educazione responsabile al consumo energetico. dunque: prima di sottoscrivere queste allettanti proposte truffa, pensateci bene.
potete ancora contattare il vostro operatore e pretendere il passaggio alle tariffe bio-orarie.
nonché, iniziare un consumo consapevole.

la mostruosità più ridicola è -di nuovo!- la predicozza del papa contro il preservativo.
questa mattina, l’elefante con la lingua felpata Giuliano Ferrara proclamava dai microfoni di radio24 che il papa non ha detto che il preservativo è male. anzi: lodava il fatto che il pontefice, coraggiosamente, chiamasse il preservativo con il suo nome, senza usare giri di parole.
è stato un momento commovente. un po’ come quando tuo figlio dice per la prima volta ‘cacca’ e non più ‘pu-pu’.
e a proposito delle parole del papa, è vero: non ha detto che il preservativo è male.
ha solo detto che non serve e che invece la soluzione è sposarsi e/o essere amici dei malati.
è come dire che per curare la polmonite bisogna essere amici dei malati e/o imparare a parlare senza sputare in faccia all’interlocutore. o che per curare la peste bisogna fare lunghe processioni in cui si prega e ci si flagella e però si è amici dei malati.
…ah, ops. questo è successo davvero.

la mostruosità più agghiacciante è che in questi giorni, alla camera, nel marasma del pacchetto sicurezza e dei litigi di parte a cui nemmeno i protagonisti credono più, è in discussione (…come in parlamento si discutesse ancora) una norma secondo cui i figli di genitori apolidi (ovvero: senza cittadinanza) che nascono in italia non possono essere registrati dall’anagrafe.
ovvero: rimangono apolidi.
con l’introduzione del reato di clandestinità e l’obbligo di denuncia per i pubblici operatori, anche sanitari, il conto è presto fatto: questi bambini non hanno diritti e non vengono curati.
la situazione si fa sempre più aberrante. la tesi della superiorità e della precedenza della razza italiana porta ormai a considerare come il cittadino di pelle bianca, ceppo caucasico e carta d’identità regolarmente rilasciata dal suo comune di residenza sia indiscutibilmente superiore ad ogni altro essere umano. e non importa se è un mafioso, un politico corrotto, uno stupratore, un finanziere fraudolento, un camorrista, un brigatista, un poliziotto ricusato dall’arma: i suoi diritti civili sono garantiti e tutelati per il solo fatto che è italiano.
Baumann, discutibile voce analitica del nostro tempo, scriveva già ne ‘La società sotto assedio’ come il sistema consumistico in cui viviamo tenda a produrre rifiuti umani. in particolare, rilevava come nella dichiarazione dell’uomo e del cittadino la doppia distinzione ‘appunto’ tra uomo e cittadino comportasse l’ipocrita esclusione etica di tutti coloro che NON sono cittadini, ovvero non riconosciuti dallo stato.

ignoro come non ci si possa sentire umiliati, offesi, furiosi.
ignoro come le persone, anche quelle che non mi rappresentano, stiano per votare una simile misura.
ignoro come le istituzioni possano essere non semplicemente ‘cattive’ (come disse Tremonti, dimenticando la natura primaria dello Stato laico) ma finamai crudeli e spietate.
questo non è un mondo difficile: è solo uno stato di merda!

i hate shopping

gli anni di università li ho condivisi con due coinquiline in gamba. che però avevano un vizio capitale: adoravano i romanzi della kynsella. loro li hanno letti tutti, scambiandoseli.
io ho retto col primo, come prova di amicizia.
ricordo ancora di essere arrivata a stento alla fine, abbattuta nel mio intimo dalla noia profonda per questo libro così inutile e poco interessante.
però, fedele al mio voto di amicizia eterna e molto curiosa dopo le polemiche che ho sentito, sono stata a vedere anche il film.
mi piacciono le serate al cinema con le amiche a vedere cose poco impegnative, magari perfino trash. non mi aspetto niente dal film perché tanto so già che la parte migliore sono i commenti condivisi alla fine, a un tavolino da bar.non mi aspettavo nulla da questo film, è vero.
ma tutto pensavo tranne che fosse un film dell’horror.
ho passato tutto il tempo rattrappita sulla sedia, inorridita da tutto: da lei, dalla sua goffaggine, dal suo malgusto, dalla sua stupidità eclatante, dalla sua totale assenza di moralità, da come riuscisse a dire sempre la cosa peggiore al momento peggiore e a fare le cose più stupide e insensate in ogni situazione.non potevo fare a meno di chiedermi perché di ogni battuta, di ogni scena. e anche mi sono chiesta se non esiste più la figura del revisore delle sceneggiature perché questa qui, di storia, proprio non sta in piedi.
non avrei mai pensato di dirlo, ma vi assicuro che il libro è molto, ma molto, ma molto più interessante e perfino intelligente del film.
e qui rientra in gioco il detto per cui quando mangi merda per un sacco di tempo anche il fango non sembra così male. ecco: il rapporto tra film è libro è più o meno lo stesso. il livello è così infimo per entrambi che l’unica cosa che ti aspetti è solo la coerenza, nulla di più.queste storie vanno raccontate per spegnere la testa e guardarsi un po’ di abiti in santa pace.ma qui anche lo stylist è stato pescato all’oratorio di un villaggetto nel connecticut. lei ha uno stile da sfigata e molla l’unico oggetto decente che si vede in tutto il film: un paio di stivali rossi di gucci davvero non male.

a parte la sceneggiatura davvero imbarazzante per chi si pecca di averla firmata, quello che mi ha scandalizzata è il fondo morale del film.
e mai come in questo caso, di fondo vero e proprio si tratta.
la becky del libro era una ragazzina irresponsabile che giocava con le carte di credito e poi imparava dalla vita che bisogna crescere e imparare a dare valore ai soldi.
la becky del film, invece, è una stronza eclatante, che non esita a barattare l’abito da damigella per il matrimonio della sua migliore amica con una specie di tovaglia viola in acrilico che si butta sulle spalle per un esordio televisivo in cui fa la figura di quella che è: un’immatura bugiarda.
e quando tutto va male perché lei non sa dare valore ai soldi come non lo sa dare agli affetti, torna da suo padre che le fa uno di quei discorsi da film americano il cui succo è però profondamente deviato: figlia mia, le dice, venderò il camper che ho comprato con i risparmi di una vita per ripianare i tuoi debiti e tu non devi preoccuparti ché questo paese è diventato grande proprio perché i suoi cittadini spendono molto al di sopra delle proprie possibilità.

dunque, anche agli occhi di suo padre, becky è una cittadina modello perché usa il mezzo simbolo degli Stati Uniti, cioè le carte di credito, nel modo migliore: per indebitarsi.
vorrei anche parlarvi del mondo descritto nel film, dove le donne hanno orgasmi multipli alla vista di oggetti di moda di qualsiasi portata ma dalla completa e assoluta inutilità.
il mio terrore, guardando questo film, è stato proprio questo: era come se gli oggetti di moda avessero in effetti un valore assoluto. mentre tutte noi sappiamo benissimo che la moda è passeggera e che anche il più bello dei vestiti è solo…un vestito.
non ci credo che esiste un mondo dove gli oggetti possono avere un valore così distante dal loro utilizzo.e senza addentrarmi in quello che sanno tutti, ossia che l’industria della moda e quella della merce di basso valore hanno gli stessi siti e procedimenti produttivi, mi limiterò a dire che chi si indebita per gli oggetti (e non, ad esempio, per il cibo o per i beni di prima necessità) fino a trovarsi seriamente dei guai andrebbe considerato un malato bisognoso di sostegno psicologico e non certo una simpatica canaglia con cui stringere una profonda amicizia.

chiudo con una piccola considerazione sui soldi.
il rapporto coi soldi è del tutto personale. alcune persone diventano insospettabilmente dei mostri quando si trovano a doversi confrontare a colpi di beni al portatore. quando frequento un uomo, so che posso accettare molti difetti, ma non l’avarizia. un uomo che non è generoso con quello che possiede non lo è nemmeno con i suoi sentimenti.
anche per questo motivo la specie di prequel malriuscito di ‘I love shopping’ della Kinsella che ho visto al cinema mi ha così turbato: perché è un inno all’egoismo irresponsabile e al malsano rapporto deviato con il denaro, in nome del quale sono azzerati perfino i sentimenti più nobili e che viene barattato con oggetti così futili che, a fermarsi e fare il punto di una vita spesa così, può venirne solo tanta pena.

il mondo diviso in due – il BORIS GODUNOV della Fura dels Baus

questa è una recensione allo spettacolo BORIS GODUNOV della Fura dels Baus in scena fino a venerdì a Milano al Teatro Smeraldo.

ma prima di dirvi cosa penso della messinscena cui ho assistito ieri sera, ho bisogno di fare una premessa. e cioè:
ho passato tutta la vita a imparare che le cose non sono bianche e nere, ma che esistono (infinite) sfumature di grigio che descrivono la realtà.
anni di impegno e di comprensione e di sforzo per considerare sempre un nuovo punto di vista.
bene.
ad oggi, sono assolutamente convinta che la pluralità delle opinioni e delle considerazioni e dei punti di vista sia una ricchezza della vita, più di quella reale che di quella virtuale.
ma so anche che semplificare al massimo, alle volte, aiuta parecchio.
ad esempio, nelle relazioni, ci sono due modi per essere:

se sei così 😀 allora va tutto bene
se sei così 🙁 è il caso di prendere in considerazione l’idea di mollare.

ma potrei farne molti altri di esempi in cui il bipolarismo funziona meglio dell’analisi minuziosa. solo che volevo dirvi cosa penso del Boris Godunov.
…è un vero spettacolo!
il meno tecnologico della Fura, almeno per la mia esperienza. ma di certo il più umano. forse perché il dramma dei terroristi e dei loro prigionieri (lo spettacolo si ispira ai fatti del teatro Dubrovka di Mosca dove, nel 2002 si erano asserragliati i terroristi ceceni) non ha bisogno di drammaturgia per essere intimamente capito dal pubblico.
quello che di solito rimprovero alla Fura è la difficoltà ad armonizzare testi ‘classici’ -che sono sempre la base degli spettacoli- con il racconto a crudo di temi contemporanei. ma qui, nel Boris, complici un gruppo di interpreti strepitosi, il matrimonio tra il testo di Puskin, il copione e l’improvvisazione in sala è perfetto.
due ore e mezza ostaggi degli attori in un dramma comune per raccontare quello che scriveva Remarque: le guerre dovrebbero essere combattute dai capi di stato rinchiusi in uno stadio a massacrarsi a vicenda, con il popolo sugli spalti a fare il tifo.
e invece, sappiamo bene come vanno le cose nella realtà.

la considerazione iniziale sul mondo diviso in due vale anche per il teatro.
ci sono due modi di fare teatro: per sé e per gli altri.
il teatro italiano conosce recentemente autori talentuosi e con grande spirito direi di sopravvivenza. senza citare paravidino o emma dante, vi invito a recuperare la raccolta di Minimum Fax edita da poco sulle nuove voci della drammaturgia nazionale.
ma il teatro italiano, così come il cinema, cade nei suoi interpreti, ancora prigionieri del mito del gigione, del mattatore, del protagonista che si impone sui personaggi schiacciandoli senza riuscire nemmeno a raccontarli.
esiste un altro teatro che riesce ancora ad essere vivo, che ha interpreti bravi e umili, che è ricco di idee, che è ancora un’esperienza che vale la pena di vivere.
andate a vedere la Fura, oggi o quando ne avrete l’occasione.
e capirete cosa voglio dire.

di come i buoni propositi se ne vanno allegramente a puttane

ieri sera ero piena di buoni propositi.
primo: stirare.

le single fanno anche quello e in fondo a me non dispiace poi tanto.

però stirare è troppo da casalinga putta e allora di solito ci unisco qualcosa di culturale.

inizio con l’ultimo TG della sera. la prima cosa che sento è che i
nostri nella loro Versaille romana stanno discutendo della legge sul
testamento biologico.

oddio…discutere è una parola grossa…

insomma, sento che è condiviso un punto di vista, cioè che questa legge
schifosa e immorale che si permette di decidere al posto del singolo
del suo diritto a rimanere in vita insieme al benjamin e al cactus in
salotto ab aeternum o almeno finché il corpo non va a muffa (che non è
la muffa nobile dell’uva che serve per il passito ma è più la muffa
delle cripte vescovili o di quelle dei conventi con i cadaverini dei
figli illeciti delle suore) è una legge buona e giusta perché è
necessario sollevare il paese da un peso morale come quello a cui ci
siamo trovati di fronte col ‘caso Eluana’.

insomma: lo fanno per noi.

ci tolgono il peso di pensare, la preoccupazione di prendere coscienza,
la dignità di essere persone che ragionano di etica, di diritti, di
moralità.

ci tolgono il peso di essere divisi su qualcosa di importante.

come direbbe fantozzi: …come sono buoni loro!


mi chiedo come ho potuto vivere fino ad ora discutendo animatamente con
altre persone di opinioni pesanti. e anche mi chiedo come abbia potuto
fino ad ora continuare ad avere stima di atri che pur hanno pareri
molto distanti dai miei …incredibile…

bhé, comunque, da oggi pare non sarà più un problema mio …sì, perché
l’idea di confrontarsi su temi importanti è un problema, una
preoccupazione, un inutile stress sociale…


accantono il TG e il mio primo buon proposito.


passo al secondo: Santoro e un po’ di dibattito sul lavoro, in Italia e
in Europa. prima inquadratura: paperino Tremonti che fa lezione a un
ragazzo che sta perdendo il lavoro e gli dice che è colpa della
globalizzazione perché ha stravolto il mondo in meno di ventanni, che è
un tempo troppo breve.

io lo guardo col ferro in mano e vorrei averlo davanti a portata di vapore.

penso a tutti i soldi che prende, agli aumenti che insieme ai suoi
colleghi della versailles romana si danno ciclicamente come premio
morale per essere così bravi a incularsi i cittadini mantenendoli
docili, penso che tra un po’ lanceranno la campagna: ‘sei un politico
col culo quadrato? adotta anche tu un disoccupato’ e si faranno
fotografare in stile pietista con il loro disoccupato al guinzaglio,
felice e fedele.

guardo Tremonti dibattere con un sindacalista scaldapoltrone a caso che
parla di dazi in europa per proteggere il lavoro e penso al casino di
alitalia e agli stipendi dei cassaintegrati e a quelli dei sindacalisti
e mi viene una nausea così forte che per non vomitare sull’asse da
stiro, spengo. io al mio bucato ci tengo!


fine indecorosa del secondo buon proposito che si discioglie in un rutto liberatorio.


allora punto su un film da oscar in dvd che ancora non ho visto.

…però su Italia1 davano Dirty Dancing…

non resisto al richiamo di ‘time of my life’ e ‘she’s like the wind’.

miseramente, mi arrendo alla nostalgia dei miei teen movies che, se
devo essere onesta, non sono migliori di quelli che ci sono oggi. e
anzi: permettetemi di osservare che il patrick bacia da schifo, anche
se rimane un toro da competizione.


e insomma, pentita del mio abbandono in massa di buoni propositi,
stamattina ascolto radio24 mentre mi faccio il bidet e mi preparo
genericamente per diventare produttiva con il mio ruolo nel mondo. ed
ecco che giuliano ferrara mi racconta la storia del povero dirigente
Rai che un giorno si trovò crocifisso dai magistrati cattivoni che
pubblicarono le sue intercettazioni innocenti eppur travisate…








…no, ragazzi, proprio non ce la fo…mi arrendo! è una congiura!

grazie silvio!

la cosa migliore che ha fatto per me berlusconi da quando è in politica è che mi ha permesso di inserirmi con competenza in molti dibattiti. per la prima volta, nella mia vita, ho la sensazione di capirci davvero qualcosa.
ed è così, giuro.
fare politica in modo berlusconiano non è difficile.
basta avere presente alcune semplici norme.

regola 1: la politica è come una partita di calcio. destra e sinistra sono solo due squadre, ma poi il gioco è lo stesso, le regole sono poche (e si possono ridiscutere ab aeternum in moviola), lo scopo comune a tutti i giocatori che siccome prendono una quantità folle di soldi se ne fregano comunque di come andrà la partita. i cittadini devono solo scegliere per chi tifare; a loro non spetta nessun altro ruolo se non quello di pubblico passivo. e pagante.

regola 2: se i soldi non sono miei, posso farci quello che voglio. così, ad esempio, con i soldi dati alla libia per non si è capito bene cosa, i libici si sono comprati unicredit che si è comprata la mia banca che adesso sta comprando i tremonti-bond ma forse li passa in austria. è bello. è come un domino in cui non sai mai dove cadono le tessere ma sai che cadono in ogni direzione e, sostanzialmente, un po’ alla cazzo.

regola 3: il senso della vita è racchiuso in due parole: shopping & fucking. questo a qualunque costo. sull’uso indiscriminato e la svalutazione della figa secondo il premier, sorvolerò. mi limiterò a dire che, per avvalorare l’idea che l’economia italiana sta bene e che, dunque, possiamo indebitarci ancora, ogni volta che si muove o incontra qualcuno promette soldi e stringe accordi con gran sorrisi. lo ha fatto con alitalia, che ha svenduto combinando un macello in cui nessuno capisce più niente. però secondo lui ‘è salva’. da chi e da cosa non si è capito. lo ha fatto ieri con la francia in cui -mi pare- ha raggiunto il massimo della creatività. ovvero: siccome non si investe da anni nella ricerca i nostri tecnici sono emigrati all’estero. allora ieri berlusconi ha comprato il know-how dei tecnici francesi (che sono italiani) sul nucleare per costruire delle fantomatiche centrali che quando saranno pronte saranno già vecchie. i tecnici francesi (che sono italiani) infatti utilizzeranno i nostri soldi per accelerare le ricerche sui reattori di quarta generazione che dovrebbero ridurre quasi a zero la produzione di scorie e che saranno destinati alla francia.
e comunque, rimane il problema dei soldi: chi paga per la costruzione delle centrali?
e la seconda grande domanda: ma ci servono davvero o si poteva investire nelle energie rinnovabili, pulite e meno costose? ecco, qui arriva la prossima regola che è…

regola 4: l’unica filosofia che si può applicare in politica è quella dell’uomo del bar. così, la risposta al nucleare è: ma tanto ci sono le centrali vicino ai confini! giusto, non fa una piega. è come dire che se io abito vicino a una porcilaia posso anche evitare di pulirmi il culo quando cago perché tanto puzzo di merda lo stesso. preciso.

regola 5: esiste un’italia sana (milano con il nord intorno) e un’italia spazzatura. della seconda è sufficiente non parlare. della prima si può dire che va sempre tutto bene.

regola 6: la gente è stufa di cose serie. in politica ci vuole creatività, fantasia e tanta tanta tanta simpatia.

regola 7: i veri valori di un uomo sono: la volgarità, il bullismo, l’amoralità, l’ignoranza e il malgusto. se hai questi, allora puoi fare i soldi. se hai i soldi, allora puoi fare davvero quello che ti pare.

regola 8: la dittatura è un concetto relativo e il dispotismo è solo un fraintedimento della monarchia illuminata. per dirla alla celentano, la democrazia è lenta, il premierato assoluto nella versione iosonoioevoinonsieteuncazz

o è rock.

regola 9: quando la violenza non è più controllabile nei posti chiusi, basta liberare i serragli e mandare in giro per le strade in divisa i più violenti e molesti. ogni altro tipo di intervento a monte è inutilmente dispendioso e impopolare.

regola 10: come per il marketing, anche in politica non contano i contenuti bensì l’immagine e il nome. ovvero: le parole sono solo parole.

e infine la regola di tutte le regole: in verità, in verità vi dico che se andate in chiesa tutte le domeniche e fate la comunione, potete fare davvero tutto quello che vi pare e sarete comunque persone rispettabili.

il fake delle ronde

parliamone, di queste ronde.
no, perché qui ogni tanto si fanno i proclami e pare che tutto andrà a posto. cos’è che scriveva vespa?? ah, si: il cavaliere cambia davvero le cose perchè lui vuole. amen.
…sticazzi.
l’estate in cui pianto l’ingegnere fissato con lo squadrismo da moto che gira in divisa per le strade coi suoi amichetti bulli e col cazzo moscio, mi salta in mente di fare la volontaria. cerco un po’ in rete, vado all’informagiovani e mi capita sott’occhio una’ssociazione che sta a palau, in sardegna. mi dico che è una figata. così li contatto per fare da sostegno a una ragazzina su una sedia a rotelle. devo farle compagnia, portarla al mare, farle il bagno insieme a un’assistente di ruolo sul posto.
quando arrivo, scopro la realtà: questa associazione è nata perché quelli che ci sono dentro hanno litigato con quelli che c’erano già sul posto. così, hanno fondato un’associazione, fanno sevizio con l’ambulanza e hanno una divisa con un logo tutto loro. peccato che non sappiano fare pronto soccorso e il primo giorno che sono lì un ragazzo che ha un incidente d’auto viene soccorso male e muore nel trasporto. dopo di che, siccome sono donna, mi dicono che devo fare le pulizie della sede. per me non sarebbe nemmeno un problema, se le facessimo tutti. e invece scopro che le altre due ragazze che ci sono fanno non so bene cosa con il responsabile e sono esonerate da tutti i turni anche perché passano le loro serate a fotografare vip al billionaire.
così litigo, li accuso di essere dei delinquenti, minaccio denunce e vengo allontanata. protesto e dico che la ragazzina che sono lì per assistere ha bisogno di aiuto per andare al mare e che questo la rende molto felice.
mi si risponde che a nessuno frega niente della ragazzina perché a loro piace l’ambulanza. pare che con la divisa addosso si rimorchino molte più fighe; nessuna di queste handicappate.



quindi, il senso della storia è questo:
ogni cretino che non ha un posto nel mondo sogna di avere una divisa addosso. una divisa ti dà, di fatto, un’identità e un potere. ma non fa di te una persona migliore. a chi crede ancora nell’integrità delle forse dell’ordine, invito a visitare un forum a caso delle forze di polizia, per leggere i commenti.



altra piccola considerazione:
dopo la liberazione, con l’arrivo dei soldati americani, nel sud italia sono nati un sacco di bambini del color del cioccolato. lo racconta una popolarissima Tammurriata Nera napoletana, che forse in molti conosceranno. certo: qualche mamma era consenziente e innamorata.



quanto a me, quello che mi rende sicura nel tornare a casa è il saluto del proprietario della kebaberia che veglia gentilmente sulla mia incolumità, non certo qualche stronzetto armato di manganello con accesso al mio indirizzo di casa e ai miei dati personali.

la nonna Pierina

ieri è morta la mia super nonna.
94 anni di vita per oltre un quintale di peso.
decisamente, un peso massimo in molti sensi.

la mia nonna era molto malata da tanti anni. da almeno cinque non era più in grado di riconoscermi, per non dire altro. ha collezionato più malattie lei di una guida ai disturbi della terza età. però ha sempre tenuto botta.
un po’ perché via via è diventata la nonna-bionica: denti nuovi, apparecchio acustico, bastone per camminare e altri piccoli accessori in sostituzione delle molte parti deteriorate dall’età e dai malesseri.
poi, nell’ultimo periodo, le trasfusioni continue per eliminarle i dolori degli ultimi grossi disturbi l’hanno trasformata in una specie di vampiro: quando si nutriva di sangue umano, stava meglio per un po’. e poi ricascava nelle sue crisi.
quando ancora mi capiva e mi parlava, io la prendevo in giro e ci ridevamo su, che era la nonna-bionica o la nonna-dracula.

e con questo post voglio ricordarla per come era, grossa e buona.
la miglior cuoca di fegato alla veneziana che sia mai comparsa nella provincia di brescia. era così buono che nessuno sapeva resistere e tutti i convitati finivano per collassare piuttosto che lasciare qualcosa nel piatto.
la mia nonna vanta nove gravidanze, di cui sette portate a termine con successo.
era anche dotata di senso dell’umorismo, visto che lei si chiamava pierina e le sue figlie le ha chiamate, nell’ordine: bortolina, orsolina, paolina, pierina teresina e …agnese.
la mia nonna era una cattolica fanatica, ma quando ha sentito questo papa parlare per la prima volta ha commentato: «questo qui non mi piace neanche un po’».
la mia nonna era una senza peli sulla lingua e con quello che mi ha raccontato, dieci anni fa, in un pomeriggio in cui faceva così caldo che ci siamo fatte venire il mal di pancia a furia di mangiare granite al limone gelate, tutte le cose che le mie zie negherebbero fino alla morte. ovvero che, anche se ora fanno tanto le santarelline, in gioventù si sono divertite molto più di me che in famiglia sono considerata la poco di buono.

e insomma, ieri la nonna si è addormentata e non si sveglia più.
poco male, perché domenica in un raro momento di lucidità è riuscita a rimproverare i figli che discutevano e litigavano e si affannavano a dispensare consigli medici e pareri infermieristici: «ma perché vi affannate tanto? non vedete che non c’è più niente da fare? io sono stanca».
e il giorno dopo, cocciuta come sempre, ha fatto quello che voleva e si è addormentata.
rimaniamo noi, che la ricordiamo ognuno a modo suo e che adesso ci tocca rimpiangerla, la nonna pierina. che le donne così, quando se ne vanno, lasciano davvero il vuoto.

sottovuoto

esusta delle chiacchiere, eluana è morta.
diciassette anni sono un’agonia da guinnes.
rimane in sospeso il grande interrogativo: se davvero esiste un dio così grande e buono che l’aspirazione di ogni buon cristiano è stargli vicino in eterno, perchè il clero e tutto il pecorame cattolico continuava a inorridire all’idea della morte di un’ammalata irrecuperabile?
…mah.

un nuovo dogma da inserire nel prossimo concilio vaticano. dopo l’infallibilità del papa, il concepimento da vergine della madonna, la resurrezione col corpo e l’esistenza dello spirito santo [su cui ogni cristiano glissa con abili acrobazie poiché nessuno ha mai saputo spiegargli cos’è], ci sarà anche il dogma dell’aspirazione all’eternità senza dipartita.
ovvero: morire è brutto, andare da dio è bello.
o anche: finché muore cristo siamo tutti contenti, ma che poi non tocchi a noi che se no ci caghiamo sotto.

bene.
eluana è morta.
io odio sempre di più la chiesa cattolica e scrivo queste righe aspettandomi una meritata scomunica che appenderò in salotto sopra il divano.
su Facebook, regno del vogliamoci tutti bene e oh, come siamo belli e come siamo buoni, ho fatto un paio di memorabili litigate -con annesse espulsioni senza rimpianto- di tutti quelli che mi hanno scritto: esistono anche dei preti buoni.
…e chi se ne frega.
a quanto ne so io, i preti intelligenti si sono sbattezzati pure loro. tutti gli altri, per quanto mi riguarda, giocano nella squadra avversaria dello stato laico. non sono tipo da schieramenti, ma ogni tanto sì.

e insomma, eluana è morta.
che vergogna quello che succede prima e dopo. che schifo.
se qualcuno crede che dimenticheremo, si sbaglia di grosso.
da donna, sono rimasta disgustata dalle parole di un presidente del consiglio che non ha rispetto della sua carica ancor meno che delle donne e che osa dire ‘salviamola perché può procreare’.
che schifo.
un premier che pensa che le donne sono, all’occorrenza, contenitori dove svuotare le palle o infilare un feto.
ecco cosa penso: con l’arrivo dei soldati e dello stato di polizia, ogni testa di cazzo guidata dal suo uccello verrà arruolato con la scusa di fare ordine per le città. avrà possibilità di pedinare le ‘belle ragazze italiane’, di proteggerle e di aiutarle a procreare, anche contro la loro volontà. non sarà violenza, no no: sarà sostegno allo stato, perfettamente legalizzato. nel frattempo, la battaglia antiabortista vincerà a colpi di fiducia e un nuovo decreto legge con immediata entrata in vigore eleggerà le donne a uteri ambulanti e condannerà lo spaccio di contraccettivi.
naturalmente, una clausola esonerà i politici e le loro numerose famiglie ufficiali e i concubinati. alle coppie italiane sterili continuerà ad essere negato il diritto a una gravidanza assistita, ma verrà dato il permesso di recarsi nei campi di accoglienza per prelevare, come al canile, bambini immigrati da allevare in famiglia italiana e far diventare a tutti gli effetti nuovi cittadini. la previsione di crescita demografica salirà in un anno ai massimi storici e al prossimo turno dell’italia alla presidenza dell’europa, il premier (ormai a vita, come il papa) annuncerà con orgoglio che come scopano gli italiani non scopa nessuno, visti i risultati.

ecco.
eluana è morta.
mi viene da pensarla come socrate che, bevendo la cicuta, ebbe a dire: «io vado a morire, voi a vivere. chi dei due abbia miglior sorte, non ci è dato di saperlo».
ma mi fa piacere postare qui il breve comunicato dell’UDI – Unione Donne in Italia, riguardo alle schifose parole del premier.
caro Berlusconi, le donne d’Italia, tutte insieme, la disprezzano profondamente, lei e quel becero clero maschilista, ipocrita, reazionario e spietato.
non dimenticheremo, non si preoccupi.

« Evocare il corpo fertile di Eluana da parte del Presidente del Consiglio per dare consistenza alla proprie parole e per rafforzare nell’opinione pubblica l’idea che quel corpo è vivo e vitale, ci dice che egli sa come si usano le immagini – vere virtuali simboliche – per comunicare. Ma le sue parole si ripercuotono violentemente su di noi donne perché rimandano ad una esperienza che conosciamo: possiamo restare incinte contro la nostra volontà, o in assenza di essa, solo per un atto di violenza. Se a Berlusconi viene in mente questo esempio, è perché una donna può essere ancora rappresentata come un contenitore, e colpisce quanto egli sia in sintonia con il peggiore immaginario maschile che si racconta la donna come passiva, inerme, incosciente…Indigna che Berlusconi usi questa immagine per dire che un corpo è vivo e vitale; indigna che usi una donna per legittimare la presentazione di una legge che priva tutti, uomini e donne, della sovranità».

waiting for berlusking



– oh.
– eh.

– ma tu sei per la vita o contro la vita?
– eh, che domanda difficile. non si potrebbe mica averci prima almeno una tazza di caffè?
– poche storie. walter ha detto che la politica e lo stato non devono interessarsi a queste questioni. quindi, come al solito, tocca occuparcene noi.
– senti, ma quanto prende il walter per dire che non deve occuparsi di queste cose? non potremmo fargli almeno pulire il cesso, così fa qualcosa?
– mah, magari sì. domani ha detto che non va a votare. dunque ha la mattina libera. direi che può tranquillamente pulire i vetri e magari iniziare pure a stirare il bucato della settimana.
– non fargli stirare le camice, che la destra la liscia benissimo, ma la sinistra la stropiccia tutta.
– azz, c’hai ragione. che incapace. manco buono a stirare… e tutti quei soldi… non mi ci far pensare…
– è uscita la graduatoria sul Sole24Ore per gli stipendi delle colf. non è ora di adeguarlo alla categoria più bassa? non sa fare nulla, non sa fare.
– dai, lo sai che tiene famiglia. e poi se gli dici che non sa fare niente, piange.
– senti, però ancora non mi hai risposto. ma tu sei per la vita o contro la vita?
– dipende.
– da che?
– bhè, dipende.
– ma sì. da che?
– dal tasso d’interesse.
– …
– e dalla maxi rata finale. quella è sempre una fregatura. ma ho sentito dire che se dico che sono per la vita, tremonti mi dà gli ecoincentivi per farmi rottamare prima.
– … vabbé, dai. sentiamo il walter: domattina che non è in aula andiamo in giro a fighe, che è meglio.

la lezione del tango

un’apparizione sulla TV nazionale fa molto di più di cinquanta presentazioni di successo. per chi avesse dei dubbi, ora può tranquillamente zittirli.
la TV, come ogni media unilaterale, ha il potere si raggiungere chiunque. e quando dico chiunque, intendo proprio tutti. anche quelli che di cui ignori l’esistenza e che, però, improvvisamente hanno voglia di entrare in contatto con te.
niente di male, anzi.
per fortuna, devo dire che le persone galanti e cortesi sono state molte di più degli idioti. questa è stata una sorpresa, visto che ho parlato di giocattoli sessuali e poco altro.

ma di altro volevo parlare.
una domanda mi viene spesso fatta e che, più o meno, suona così: «ma a parlare sempre di sesso non ti stufi?»
e alle volte si presenta nella variante ipocrita e falsamente pietista del: «poverina, a parlarne sempre non lo farai mai».

se mi gira storta, abbozzo e faccio finta di niente.
se voglio confutare, di solito, utilizzo l’esempio del cibo. dico che l’Italia è una nazione ossessionata dal cibo e dalla cucina: libri, trasmissioni, radio, canali dedicati, riviste.  le conversazioni degli italiani sono ipocaloriche e unte di burro. non per questo siamo un paese di grissini. a dire il vero, nemmeno un paese di grandi obesi. direi che il fatto di parlare osessivamente di cibo influisce solo parzialmente sui nostri costumi e sulle nostre abitudini alimentari.
e questo, se uno ci pensa, vale un po’ per tutto.



oggi piove.
spulciando nell’armadio, ho ritrovato le mie vecchie scarpe di sala da tango che avevo fatto risuolare per usarle anche nella vita vera, visto che non ballavo praticamente più.
nell’infilarle, a scapito del tempo assolutamente inadatto, mi è tornata in mente la lezione del mio maestro di tango, che ho voglia di raccontarvi. e poi fatevene quello che vi pare.
quando sono entrata in sala, come tutti, la mia domanda era: come si fa.
volevo i dettagli tecnici: dove vanno le mani, quali sono i passi, come si conduce, come si gestisce il peso, quali sono i dettagli delle figure.
eravamo tutti così, tecnicamente frenetici e formalmente ansiogeni.
il maestro ci ha dato la risposta che volevamo. da manuale:

Posizione di partenza. In piedi, uno di
fronte all’altro, la mano destra di chi guida sulla scapola sinistra di
chi segue, la mano sinistra di chi guida contiene la mano destra di chi
segue. La mano sinistra di chi segue si poggia sul bicipite destro o
sulla scapola destra di chi guida. I gomiti di entrambi sono rivolti
verso il basso. Valgono le stesse regole di postura viste per gli
esercizi svolti finora: testa alta, schiena dritta, gambe rilassate,
piedi uniti.


poi, quando eravamo pronti, ci ha fatto fermare.
« per ballare il tango basta una mano » ha detto, indicando la presa che ciascuno dei due ballerini ha dietro la schiena del compagno, all’altezza della scapola.
« questa presa è quella che vi tiene uniti, che vi dà sicurezza. il significato profondo del tango non sta in una tecnica perfetta, ma in una profonda fiducia. il senso di questa presa è semplice come la passione: siccome mi fido di te, lascio che tu mi tocchi il cuore. ricordatevelo sempre ».



la lezione del tango me la ricordano le mie scarpe, quando la testa rischia di dimenticarsi che esiste sempre almeno una seconda risposta ad ogni domanda; a volte più semplice, ma non per questo meno impegnativa.