il mondo diviso in due – il BORIS GODUNOV della Fura dels Baus

questa è una recensione allo spettacolo BORIS GODUNOV della Fura dels Baus in scena fino a venerdì a Milano al Teatro Smeraldo.

ma prima di dirvi cosa penso della messinscena cui ho assistito ieri sera, ho bisogno di fare una premessa. e cioè:
ho passato tutta la vita a imparare che le cose non sono bianche e nere, ma che esistono (infinite) sfumature di grigio che descrivono la realtà.
anni di impegno e di comprensione e di sforzo per considerare sempre un nuovo punto di vista.
bene.
ad oggi, sono assolutamente convinta che la pluralità delle opinioni e delle considerazioni e dei punti di vista sia una ricchezza della vita, più di quella reale che di quella virtuale.
ma so anche che semplificare al massimo, alle volte, aiuta parecchio.
ad esempio, nelle relazioni, ci sono due modi per essere:

se sei così 😀 allora va tutto bene
se sei così 🙁 è il caso di prendere in considerazione l’idea di mollare.

ma potrei farne molti altri di esempi in cui il bipolarismo funziona meglio dell’analisi minuziosa. solo che volevo dirvi cosa penso del Boris Godunov.
…è un vero spettacolo!
il meno tecnologico della Fura, almeno per la mia esperienza. ma di certo il più umano. forse perché il dramma dei terroristi e dei loro prigionieri (lo spettacolo si ispira ai fatti del teatro Dubrovka di Mosca dove, nel 2002 si erano asserragliati i terroristi ceceni) non ha bisogno di drammaturgia per essere intimamente capito dal pubblico.
quello che di solito rimprovero alla Fura è la difficoltà ad armonizzare testi ‘classici’ -che sono sempre la base degli spettacoli- con il racconto a crudo di temi contemporanei. ma qui, nel Boris, complici un gruppo di interpreti strepitosi, il matrimonio tra il testo di Puskin, il copione e l’improvvisazione in sala è perfetto.
due ore e mezza ostaggi degli attori in un dramma comune per raccontare quello che scriveva Remarque: le guerre dovrebbero essere combattute dai capi di stato rinchiusi in uno stadio a massacrarsi a vicenda, con il popolo sugli spalti a fare il tifo.
e invece, sappiamo bene come vanno le cose nella realtà.

la considerazione iniziale sul mondo diviso in due vale anche per il teatro.
ci sono due modi di fare teatro: per sé e per gli altri.
il teatro italiano conosce recentemente autori talentuosi e con grande spirito direi di sopravvivenza. senza citare paravidino o emma dante, vi invito a recuperare la raccolta di Minimum Fax edita da poco sulle nuove voci della drammaturgia nazionale.
ma il teatro italiano, così come il cinema, cade nei suoi interpreti, ancora prigionieri del mito del gigione, del mattatore, del protagonista che si impone sui personaggi schiacciandoli senza riuscire nemmeno a raccontarli.
esiste un altro teatro che riesce ancora ad essere vivo, che ha interpreti bravi e umili, che è ricco di idee, che è ancora un’esperienza che vale la pena di vivere.
andate a vedere la Fura, oggi o quando ne avrete l’occasione.
e capirete cosa voglio dire.