e così ieri sera sono andata a vedere il concerto di Ludovico Einaudi al Teatro Grande.
tuffo al cuore a rimetter piede in questo teatro. tanta nostalgia di quando era qui e solo qui che si faceva la prosa, e le compagnie che arrivavano erano stupite di non doversi micrifonare perché qui l’acustica è così perfetta che, a respirare troppo forte quando amleto ti ha ucciso, il pubblico capisce che bleffi e non sei morto.
e insomma, ieri sera concerto commovente. Ludovico Einaudi che sembra uscito da un cocktail con una parte di Seteve Jobs e due del maestro Teomondo Scrofalo. generosissimo, delicatissimo, intimissimo.
la sala sospesa sotto le sue dita. quando tocca i tasti è un’emozione, quando li lascia un dolore sottile.
in mezzo, pensieri che fluiscono nel piacere della musica e alla fine tanta pace. tre bis. una generosità come poche. dice tre parole dopo le prime due sequenze da Nightbook che gli costano una fatica immensa. per il resto, comunica solo con la musica.
che posto strano, il teatro.
soprattutto quando, come me, non sei mai stata ricca e l’hai sempre vissuto dai posti dei poveri. e dai piani alti, il teatro è il posto dove il grande genio incontra i massimi cafoni.
e la verità è che, anche quando cresci e provi a cambiar posto, è sempre così. e ieri sera ho ritrovato tutti quei personaggi da teatro che mi è parso non siano cambiati di una virgola. e che sono più o meno questi:
la signora che tossisce: te la danno insieme all’abbonamento e c’è sempre il sospetto che la direzione di sala ne recluti un tot, perché coprono l’intero teatro, disposte regolarmente in modo che ogni spettatore abbia la sua signora che tossisce abbastanza vicino. quando la signora che tossisce ha impegni o muore (di tisi, si suppone) viene sostituita dall’uomo col catarro.
la ragazza dei braccialetti: parente strettissima della signora di cui sopra, forse nipote, viene a teatro pensando di andara a un happy hour e tentenna il braccio come se dovesse attirare l’attenzione dell’attore/musicista, forse scambiandolo per il barman (sarà lo smoking, sarà che ha fumato lei).
la signora delle caramelle: infida e perversa, passa al bar davanti al teatro appena prima dell’inizio dello spettacolo e compra un pacchetto di caramelle incartate accuratamente a tripla mandata una per una con una speciale carta rumorosissima che produce gli stessi decibel di una pineta zeppa di grilli. appena le luci si spengono, attende il momento opportuno, in cui il pathos è alto e il silenzio completo per estrarre il famigerato pacchetto e cominciare a scartare, una per una, tutte le caramelle.
lo spettatore “dai, cazzo!”: diviso tar le categorie “astioso con il vicino di posto” e “ansioso di andarsene”, lo senti rimuginare per tutta sera e con intonazioni modulate su un crescendo di aggressività “dai, cazzo!”
l’uomo che applaude: affetto da una rarissima malattia (più o meno, uno per spettacolo) è ansiosissimo di iniziare ad applaudire, tanto che spesso lo fa fuori luogo battendo una sola volta le mani e poi, accortosi di essere l’unico, desiste imbarazzato. l’ansia e la vergogna rischiano ogni volta di ucciderlo.
ieri sera ho fatto conoscenza con un’altro tipo, rarissimo, che credevo fosse solo leggenda e che potremmo definire così:
l’uomo che si gratta troppo: forse allergico alle stoffe delle poltrone, alla moquette dei pavimenti, ai tarli delle assi del palcoscenico o con una patologia del derma che, in seguito alle temperature tropicali che si sviluppano in sala nello svolgersi della rappresentazione, scatena in lui orticarie a cui può portare sollievo solo grattandosi in continuazione. l’uomo che si gratta, proprio in virtù di queste patologie, non ha una pelle normale: la sua sembra un mix tra sky e cartavetro grana 3. l’uomo che si gratta lo fa in qualunque modo, con qualunque oggetto sia in suo possesso. quello di ieri seduto a fianco a me si grattava col biglietto. e si è grattato tutto, con un’accuratezza che mai avrei immaginato: prima la barba, poi la fronte, poi la nuca, e poi giù giù fino a darsi una bella raspata ai gabbasisi.
che dire?
questo è il teatro in cui io mi sono innamorata del Teatro. e quando ti succede così è un casino: è come conoscere l’uomo della tua vita dopo 6 mesi di personal trainer e in un completo di armani. è quasi impossibile che possa essere perfetto così, per tutto il tempo che l’amerai. a se è vero che l’amore è cieco, anche a teatro, la cafoneria ci sente benissimo.