in questo periodo, mi sono data all’erosione dell’empatia. non nel senso che la pratico, almeno non più di qualsiasi altra persona nelle mie stesse condizioni di vita. più nel senso che cerco di capire esattamente com’è che inizia, come succede, da che punto in poi è come se ci fosse un grado zero da cui l’empatia diventa minima, insignificante, ininfluente.
e mentre penso a questa cosa, ogni tanto mi capitano serate come quella di ieri.
ieri, 10 settembre, sono stata in un posto very very very milanese, off course, che si chiama “carroponte” perché è un locale sotto un carroponte dismesso delle industrie marcegaglia a milano.
quidem nomen.
più o meno.
insomma, ieri sera sono stata al concerto di Fabri Fibra, all’anagrafe Fabrizio Tarducci, per gran parte del web Fabrizio Fibrazio.
la prima volta che l’ho visto su un palco era l’inverno del 2007. con il pezzo “applausi per Fibra” aveva fatto successo e iniziato a vendere di bestia, MTV l’aveva traghettato nell’olimpo dei mercati che vendono (teens e dintorni), era ufficialmente un reietto del mondo che l’aveva generato, un venduto, uno che aveva perso l’ambizione per il primo assegno succoso.
la prima volta che l’ho visto su un palco ci stava con suo fratello e un dj. passava da una quinta all’altra guardando per terra, con quel fare tipico dei rapper che si concentrano sulle rime per non sbagliare e cercano di non pensare che quando le avevano scritte, quelle rime, erano incazzati con ciò che anche quel palco rappresenta.
ma è così che succede.
ogni rivoluzione, per piccola o grande che sia, prima o poi deve fare i conti con la realtà.
nemmeno garibaldi avrebbe voluto stare su un piedistallo.
la prima volta che ho visto Fibra su un palco mi è sembrato esausto, fattissimo, un po’ triste.
per il concerto di ieri mi sono preparata a dovere.
una settimana di dieta. look che mai avrei osato per un’altra occasione.
sono perfino arrivata con un’ora di anticipo.
non ci giro intorno: mi sono molto divertita. quello che c’era sul palco era uno show divertente, entusiasmante, energico, il più bel live di rap italiano che abbia visto finora.
però non ero preparata a una cosa, che in effetti mi ha ributtato in mezzo alla questione dell’empatia che viene erosa senza che il comune senso della decenza ne sia minimamente intaccato. il fatto è che al concerto di Fabri Fibra c’erano un sacco di bambini. e quando dico bambini, intendo davvero bambini: dai due anni in su. e quando dico un sacco, dico che sembrava che avessero venduto i biglietti a un grest.
e insomma, come succede che Fibra è diventato roba da famiglie?
o che le famiglie sono diventata roba da Fibra?
e allora oggi questo post lo scrivo perché voglio ricordarmi e ricordare perché ho iniziato ad ascoltare le sue rime. perché nella volgarità misogina portata alle estreme conseguenze ci trovo un po’ di poesia, come quella delle memorie delle puttane che non si pentono o anche i libri dei cattivissimi della generazione beat o quelli degli amici lavoratori onesti/scrittori pulp che raccontano i retroscena delle loro giornate con la crudezza di una frattaglia ancora sanguinolenta.
ne elenco qui alcune, perché anche se è vero che [cito] prima col rap non faceva un granché e adesso col rap ci ha comprato il parquet …a me quel Fibra là mi piaceva, più grezzo che ironico, più stronzo che saggio.
ed ecco quindi alcuni versi dall’immortale canzoniere del Tarducci:
a scuola ho sempre fatto scena muta perché pensavo: chissà la prof come lo suca!
ho comprato un tubo di baci perugina. il biglietto interno diceva: leccherai una vagina.
perché ho leccato le fighe più sozze, quelle che profumano di cozze.
come paola barale in cerca di un contratto, in giro a fare orge con lo sguardo sempre sfatto. vorresti essere un divo? io non t’invidio.
alcolico al livello non sono tuo fratello: io faccio il rap solo per dare via un po’ più di uccello. capisci? questo è il bello.
se tu sei un divo, allora mi domando: io sono morto o sono vivo?
resta nell’ombra della mia sigla: doppia effe come fregna e figa
andiamo in bagno e ci facciamo una riga, così cambiamo pelle come i litfiba. e visto che ci siamo ti lecco la figa, ma cadi a terra e ti rompi la tibia.