il mio feticismo più basso

io non sono feticista. cioè: non ho l’ossessione di una parte del corpo.
anche se – è vero! lo confesso! – lasciata sola in una sala pesi ho messo ancora in fila tutti i gonfiotti in vero cuoio e gli ho tastato i bicipiti, declamando il vincitore… anche se più di uno scaricatore di porto so palmare la mano fino a raddoppiarla di volume per tastare la sodezza di una chiappa… anche se ho fantasie di me che grattuggio il grana a scaglie su addominali definiti e scolpiti, bassi e obliqui… anche se mi piacciono le palle taglia xl… anche se esistono tutti questi "se", io non sono feticista del corpo.

posso affermare questo perché sono feticista di altro, ovvero dei proverbi. a volte i detti mi ossessionano. ci sono periodi in cui tutto quello che accade lo riconduco mentalmente a un detto, a un proverbio, a qualche pillola popolare di saggezza che letteralmente diventa il fulcro del mio mondo.
in un’adolescenza con serie turbe alimentari, il detto che mi ha tirato fuori era un detto bresciano che tradotto, più o meno, dice così: ogni cacchetta ha il suo cucchiaino.
a me faceva ridere, mi inteneriva e mi aiutava a pensare che anche se essere adolescente mi faceva schifo e io mi facevo ancora più schifo, forse qualcuno che mi apprezzava c’era. e infatti poi mi sono innamorata e ho avuto il mio primo fidanzatino e pino daniele ha scritto una hit che si intitolava O’Scarrafone, dove il ritornello diceva: ogni scarrafone è bello a mamma soja. che è lo stesso del detto che mi ossessionava a me. e quando ho capito che il destino era d’accordo con me, la mia ossessione è passata. puff. come per magia.

anche ora mi è tornato il feticismo dei detti. stare in tour e presentare il libro mi piace assai. e però il mio pensiero è catalizzato da quella che mi appare, ora, come la verità suprema: col culo degli altri sono tutti froci. ogni cosa che mi succede, i casini al lavoro, la campagna elettrorale, le cose che vedo, le cattiverie e le ingiustizie che mi sembrano palesi e assurde… è tutto parte di un grande disegno in cui faust decide di avere il sapere universale vendendo il culo del suo inserviente.
o del suo migliore amico: non fa differenza. tutti, ma non il suo: questa è l’unica regola del gioco.