mi piacciono i film di herzog perchè li trovo veri come la vita.
qualche tempo fa, ho ascoltato il prof. dorfles che parlava di letteratura. secondo lui, la letteratura deve avere il potere di far sognare una realtà che non si conosce.
ascoltandolo, gli davo ragione ma non ero d’accordo.
credo che ognuno abbia, dentro di sè, una sorta di bilancia, tarata con pesi insospettabili. e alcune cose pesano più di altre, senza altro motivo che non sia l’inclinazione personale.
bene: a me piace che la letteratura mi regali punti di vista nuovi.
e così anche il cinema.
herzog, come tarkovskij, non usa mezzi o trucchi per far aderire la realtà ai sentimenti. holliwood ci ha abituato a condire troppo: se si è tristi, fuori piove; se si fa pace, torna il sole; se si fa sesso, c’è la penombra; se ci si innamora, suonano gli archi e le rondini si alzano in volo.
ma la poesia della vita è molto più semplice.
ho visto recentemente ‘il diamante bianco’, un documentario del 2004 in cui Herzog si unisce alla spedizione di Graham Dorrington, ingegnere aeronautico, che vuole sorvolare su un dirigibile prototipo le cascate del Kaieiteur, nella Guyana. queste cascate sono enormi, quattro volte più alte di quelle del Niagara, in piena foresta pluviale.
il documentario racconta un viaggio verso dei limiti, che sono tanti.
il primo confronto è tra la tecnologia degli scienziati e il sapere dei rastafari, che vivono nella foresta, si curano con le piante e anche se non conoscono un software sono molto saggi sulle cose della vita.
il secondo confronto è con le proprie responsabilità, perché dodici anni prima era morto un altro documentarista, Dieter Plage, su un dirigibile prototipo di Dorrington. per dodici anni non aveva più volato per senso di colpa. prima di volare, ha paura. e allora Herzog gli dice una cosa molto vera.
"esistono molte stupidità. ci sono le stupidità dignitose, quelle eroiche. e poi ci sono stupidità stupide. non volare oggi, sarebbe una stupidità stupida".
questa semplice frase mi ha sollevato da molti pesi nella mia vita. perché succede spesso di pentirsi per delle scelte fatte e, ancora più spesso, non ci si perdona mai.
l’ultimo più grande confronto è quello con il sacro.
dietro alle cascate del Kaieteur quasi un milione di rondoni nidificano in una caverna inaccessibile. le popolazioni della foresta pluviale credono che lì dietro abitino creature magiche, come enormi serpenti o altra sorta di dei. uno della spedizione si cala con la corda e la telecamera e riprende l’interno della grotta. ma poi non lo mostra. perché la cultura di un intero popolo sogna quello che abita nella caverna dietro il Kaieteur e mostrarlo per pura curiosità sarebbe un’umiliazione che ne causerebbe il crollo.
esistono realtà antiche che è necessario rispettare, anche se non ci credi.
se nuove esistenze dipendono da questi limiti è necessario che non siano oltraggiati.
alla fine, la spedizione fallisce il suo scopo scientifico. il dirigibile non può sorvolare le cascate perché non resisterebbe alle turbolenze e verrebbe inghiottito dall’acqua.
tecnicamente, è una sconfitta.
umanamente, la riscoperta di una saggezza tutta umana e del senso del limite, che a volte ci dimentichiamo di non travalicare.
a un certo punto, una delle guide, mostra alla troupe un posto da cui le cascate si osservano attraverso le gocce di condensa sulle foglie. la guida dice che è una delle cose più belle che esistano.
herzog chiede: ‘tu vedi l’universo attraverso la goccia sulla foglia?’
e lui: ‘non ti ho sentito. c’è il rombo della cascata’.
il limite è quasi sempre evidente, semplice e immediato.