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recensione- Milano

recensione apparsa su Milano Tonight
27 luglio 2008
di Elena Torresani
potete leggere l’articolo originale a questo link

Se non ti piace, dillo – Nadiolinda

Questo libro è una fotografia di quello che ci sta accadendo, una sorta di reportage sullo stato dei rapporti sessual-sentimentali della generazione dei trentenni da happy-hour. Ma non solo.
Nadiolinda rivela, oltre ad un tipo di scrittura davvero interessante, una enorme capacità di lettura e di interpretazione di quello che le ruota attorno. Il suo occhio attento e ironico, il suo spirito intelligente e la sua lingua appuntita ci regalano un romanzo-relazione da leggere davvero tutto d’un fiato: spesso ridendo a crepapelle, spesso volendo piangere dalla disperazione. Soprattutto se trent’anni ce li hai davvero e ti sembra che Nadiolinda, in questo libro, stia anche parlando di te e delle tue disavventure “sul campo”.

amore per la vita

venerdì è morta la zia adriana.

era una di quelle donne scricciolo, con le ossa piccole e fragili e due palle così. alla zia non le potevi tenere testa. si è sposata che ancora non era maggiorenne: aveva vent’anni, amava il suo uomo, voleva seguirlo nella sua avventura. i suoi genitori hanno firmato per lei sperando di non averla condannata a una vita di fallimento. le è andata bene perché si è scelta un uomo d’intuito, lo zio mario, pasticciere lungimirante, che ha aperto una delle prime pizzerie al nord.

la zia adriana se n’è andata in pochi mesi, consumata da un cancro al fegato che l’ha esaurita come una candela. la malattia l’ha assalita dopo il dolore perché, un anno fa, il cuore di suo marito sembrava reclamare la tregua eterna.
ieri ho fatto visita allo zio, ormai solo, in lacrime, che passa il tempo a pregare dio di portarselo via. non mi è rimasto niente, dice.
a misurarlo con la bilancia del mercato in piazza è un uomo ricco, il mio zio, di affetti e di beni. ma cinquant’anni d’amore ti pesano sul cuore senza che nessuno gli possa attribuire nemmeno il peso di una piuma.
da fuori, il dolore che si sente non si vede mica. e a piangerlo non gli si rende giustizia.

tornando verso casa pensavo che il mio zio, molto probabilmente se ne andrà presto. certi amori, infiniti, ti consumano proprio come fa la fiamma con la cera.
e ti salgono su per il sangue, finché sei in vita.
e ti scendono dalle ossa, quando non hai più chi ti ha sostenuto.

a me il senso della morte e anche quello dell’amore mi hanno sempre assalito in differita, come un ritorno di marea.
oggi che la zia adriana è stata omaggiata e sepolta e il mio zio ha cominciato la sua vita di cera, sono stata assalita da un’onda incontenibile d’amore per le persone con cui ho condiviso parte della mia vita, a cui ho donato, senza mai riprendermelo del tutto, il cuore.
pensavo anche che forse, un certo tipo di amore, io non posso viverlo perché il mio tempo è diverso. a diciannove anni avrei potuto sposare l’uomo che allora amavo e avremmo tentato insieme la strada del lavoro e della casa, legandoci indissolubilmente in quelle condizioni di vita che ti costringono sempre a sentirti in due come se fossi uno. se a ventitre anni mi fossi legata all’uomo che allora amavo pazzamente, magari con un figlio, avremmo condiviso per sempre un noi che era diventato tre.
e, invece, ho scelto altre strade, perché ho sempre avuto la possibilità di pensare per me stessa. non ho mai smesso di amare i due uomini che mi hanno cambiato la vita. così come non ho mai smesso di amare me stessa sopra ogni altra persona che ha attraversato la mia esistenza o le mie lenzuola.

è solo che alle volte, in sere come questa, con il reflusso del dolore e un senso di amore e di perdono universale che mi cattura l’animo, mi pare di amare da sola. e il mio senso di indipendenza mi fa dubitare che la scelta sia un macigno: morire da sola o amare fino a consumarmi.

umiliata e vilipesa

mi sono iscritta in palestra perché se faccio un po’ di sport, tengo botta. quando nuoto, mi vengono le idee per scrivere; quando corro mi pare che tutto diventi più semplice; quando tiro pugni mi sento più buona; quando mi stiracchio mi sento me stessa. ovvero: quasi sempre irrimediabilmente stanca.

ho sempre fatto sport e mi piace. ma siccome lavoro dalle 10 alle 14 ore al giorno tutti i giorni senza sede fissa non riesco a seguire corsi o a praticare con costanza. la palestra è un buon compromesso.
ho scelto una palestra fikissima perché è vicina a casa e, assurdo!, costa meno delle altre.
a brescia funziona così: tutti se la tirano e più di tutti se la tirano le palestre.
e siccome hanno fatto i loro conti, sanno che una persona va in palestra al max 10 mesi pieni, così ti vendono solo abbonamenti annuali e ci guadagnano.

allora, intrappolata dal cartello fitnessarolo, mi sono iscritta e, obbligata, ho acquistato tre incontri di personal training compresi nella tessera di iscrizione. mai avuto un personal in vita mia.
male non mi farà, penso.
in più -botta di culo!- il mio personal è uno fighissimo e simpa, che riesce ad avere sangue al cervello nonostante l’enorme massa di muscoli che si ritrova ovunque.

bene.
il mio personal-simpatia mi ha sottoposto alla pratica più umiliante che mi sia capitato di subire in tutti questi anni: il plicometro. ovvero: mi ha segnato a tacche il corpo e ha concluso che ho il 37% di massa grassa.
ecco: da ieri mi sento un’ignobile cicciona disgustosa. sto pensando di cominciare ad arrendermi, indossare maglie larghe e informi, magari in fantasie hawaiane e chiedere alla direzione se c’è un’area del centro un po’ discreta per ‘quelli come me’.
mi sono molto arrabiata quando mi ha comunicato che ho il 37% di massa grassa nel mio corpo. io non mi peso da anni e ho abolito l’assillo della bilancia, perché dopo che esci da un’adolescenza difficile non ne vuoi più sapere per la vita. e qualcuno dovrebbe ricordare ai vigoropatici che lo ‘stare bene’ non comprende numeri e percentuali.
e insomma: 37%.
tutta la tua dignità è capace di disintegrarsi per una sola percentuale. che tu sia una donna in gamba, simpatica, intelligente, professionalmente valida, umanamente ricca, non conta un cazzo! hai il 37% di massa grassa e questo fa di te una persona difettosa.
ieri mi è venuta voglia prima di smettere di andare in palestra e poi di ribaltare tutto.
e quando già mi sentivo più che mortificata, il mio trainer-perfezione mi ha detto la cagata che non avrei mai pensato si potesse dire, cioè: il tuo peso ideale è 47 kili.

non ho avuto scelta: ho fermato il tapis-roulant e gli ho detto ‘caro mio, a 47 kg ci sono arrivata. fino a 43 sono arrivata. so già cosa vuol dire per me pesare 47 kg. quello che tu definisci il mio peso ideale, era il peso di una ragazzina che si obbligava a non mangiare perché pensava che lì stesse il segreto per essere una persona migliore’.

capito?
47 kg!
porca troia! ma come si fa a dire a una persona una cosa del genere. come fai a ignorare che il mondo sia diverso. io ho una taglia 40-42, sto benissimo fisicamente, nel senso che le funzioni base del mio fisico ci sono tutte. a 47 kg non avevo più le mestruazioni e cominciavo a perdere i capelli. a 43 kg è meglio che non ve lo racconti come stavo.
soffrire di disturbi alimentari, per gli adolescenti, è quasi una moda, più meno come piercing e tatuaggi. ci passano quasi tutti e spesso sottivalutando il problema. in città sono stati aperti due nuovi centri dell’asl e già non bastano per accogliere tutte le richieste di ricovero.
ma se gli standard proposti dal fitness, con tanto di pretese scientifiche e numeri, sono questi, come possiamo pretendere di rimanerne immuni?
la palestra, invece di un luogo per il benessere, diventa il luogo deputato alla battaglia contro se stessi.
e tutto questo, fa parte di una battaglia ancora più grande, destinata ad essere persa in partenza: l’ansia della perfezione inumana, la paura della malattia, dell’età, dell’invecchiamento, della morte.
mi dispiace per chi ancora ci crede, nei suoi muscoli, intendo, misurati con il plicometro e valutati a peso, come con la carne. mi dispiace per chi ha raggiunto la sua forma perfetta. mi dispiace per chi si prende cura di se stesso odiandosi.

mi dispiace, ma la risposta sta da un’altra parte.

come si dice: non è cosa, ma è chi

Travaglio scrive: ‘costituzione’ non si può dire, ‘gnocca’ sì.
ecco il punto: con una classe dirigente senza il senso della vergogna, gli italiani hanno perso il senso dello scandalo, della decenza.
e poi, ogni tanto, arrivano quelli che ti danno le risposte. come Sabina Guzzanti, ad esempio, ieri a piazza Navona. povera Sabina, quante ne scrivono su di lei oggi. l’aggettivo più usato, ovunque, è stato ‘pesante’. perché Sabina è una donna, ma -pare- non una signora: usa parole forti, sconvenienti, dice cose che una donna non dovrebbe dire.
la grande bufala è quella di una società che è tornata a ragionare per generi, con le cose che possono fare gli uomini (tutte) e le cose che possono dire le donne (poche, opportune e a bassa voce).
non c’era niente da ridere, ieri in piazza. non c’è niente da ridere da un bel po’. e la fa facile la stampa, che oggi definisce il lungo intervento della Guzzanti come un attacco personale alla ministra Carfagna. predico che qualche voce autorevole si alzerà a dire che è stato solo uno sfogo mosso dall’invidia per la bellezza della ministra più sexy del mondo e poi mi cascheranno definitivamente i coglioni.

ministra, per favore: neghi. dica che non è vero che si spompina il presidente. ci faccia schifare, indignare, neghi, ribatta. dica che non è vero. e ci lasci leggere le telefonate.
perché chi si espone ad amministrare la cosa pubblica, deve avere coraggio. consegni la sua cartella clinica, pubblichi le sue telefonate, si piazzi una webcam in ufficio. ci porti il resoconto del dentista e conteremo le otturazioni saltate. e quando ci dirà che lei ha ancora tutti i denti suoi, troveremo pace.

però qualcuno me lo deve spiegare, qualcuno che non sia la solita Sabina, abbonata a prendersi merda da tutti. perché un uomo di stato può dire ‘coglioni’ e fare il dito e medio e una reporter (scusate se non la chiamo attrice comica) non può dire ‘pompinara’ o ‘puttana di stato’? no, perché qualcuno me la deve ben spiegare questa storia.
voglio risposte, non polemiche.

per altro, l’intervento di Sabina di ieri in piazza Navona è stato interessante sotto molti aspetti. ad esempio, ha risposto a un quesito che mi facevo anch’io: perché gli uomini di palazzo vanno tutti a puttane?
risposta: perché pippano.
la cocaina ti attizza e però non te lo fa alzare. le puttane sono le uniche professioniste che ti sopportano arrapato e col coso moscio. voilà.

litote all’italiana

ad Arezzo è stata una pacchia: coccolata per due giorni, come un’ospite di quelle serie!
l’accoglienza è stata estremamente calorosa, anche se credo, all’inizio di avergli fatto un po’ paura. com’è, come non è, dovunque vado riesco sempre in qualche modo a non essere mai perfettamente inserita. il giardino delle idee è un festival bello e articolato, con ospiti seri, di quelli che scrivono il primo romanzo dopo aver già scritto saggistica.
la bresciana che legge di pompini & co. a tempo di musica non ci fa una gran figura, ecco.
e però invece è andata bene perché, per via che siamo così un po’ low profile, finisce sempre che io e blodio riusciamo lo stesso a far divertire qualcuno. ad arezzo è andata anche meglio del previsto perché poi alla fine lui è davvero bravo e io non riuscirei a prendermi sul serio nemmeno se volessi.
ci siamo fatti riprendere e dunque a breve caricherò dei piccoli clip sul mio canale youtube.
nel frattempo, siccome sono sbadata, appena il sistema mi risponderà di nuovo vi posterò qui l’intervista fatta con Maurizio Costanzo su radio1 l’8 maggio scorso.

…della serie: non è mai troppo tardi! d’altra parte, io e la puntualità non siamo mai andati d’accordo.


tornando da arezzo, in treno, mi sono pippata uno dei viaggi più allucinanti con le FS della mia storia personale. sulle FS se ne sentono di tutti i colori, come sulle poste, sull’informazione pubblica (soprattutto tv) e molti ambiti di monopolio statale. la tutela degli statali è questione politiica quanto mai aperta. già, ma… agli utenti chi ci pensa?
riflettevo su una strana figura retorica che ho già deciso di ribattezzare litote all’italiana.
la litote è più o meno l’affermazione di un concetto attraverso la negazione del suo contrario.
la litote all’italiana, invece, è più complessa e consiste nell’accostamento
logicamente corretto
di due termini che, però, proprio per il loro accostamento, modificano vicendevolmente il loro significato.
ad esempio, l’accostamento dell’aggettivo pubblico al sostantivo servizio, annulla immediatamente il significato del sostantivo. otteniamo quindi la trasformazione servizio pubblico = disservizio.
allo stesso modo l’aggettivo cristiana annulla inesorabilmente il sostantivo democrazia. e ancora mi sfugge che senso abbia l’accostamento dell’esortativo forza al sostantivo italia, che invece di restituire un immagine di energia è deprimente.

ComixX – luglio 2008

recensione su ComixX
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per diritto di replica, mi riservo di dire quanto segue:

– l’utilizzo delle minuscole è del tutto personale. ha a che fare con la scelta stilistica di un flusso continuo nella narrazione, che si ritrova anche in un utilizzo di parlato e indiretto amalgamato. è anche il primo indizio di molte citazioni interne alla letteratura futurista, di cui ci sono tracce sparse un po’ ovunque. che qualcuno non le individui, posso capirlo. ma ricordo che un libro pubblicato da mondadori passa attraverso l’occhio di molti lettori. e che una scelta come quella di pubblicare senza maiuscole non è né presuntuosa né azzardata.

– l’autore del pezzo si permette di mischiare nomi come quello di Camila Raznovich e Melissa P., cercando un effetto ironico di denigrazione e svalutazione di una ‘certa’ letteratura. bene: quella ‘certa’ letteratura è apprezzata e condivisa con attenzione perché riesce a ritrarre efficacemente una ‘certa’ realtà, molto più di altri scritti. a questo proposito, invito l’autore a visitare il mio blog sulla letteratura veloce: sai mai che ci sia un cambiamento che si sta perdendo!

– quanto alle lenzuola sboracchiate e ai cazzi molli… mi dispiace che nel mio libro non ci sia materiale per seghe. forse ha cercato nel reparto sbagliato!

la suggestione della voce VS il potere delle parole

oggi è morto claudio capone. tutti sanno chi è, anche se la sua faccia la si vede per la prima volta oggi, sui giornali. tutti sanno chi è perché è sempre stato in televisione. però non lo si vedeva mai: capone faceva il doppiatore. era uno bravissimo. di quelli proprio bravi, che lavorano tanto perché hanno il dono di una voce unica.
era uno dei miei preferiti perché mi faceva ridere. siccome doppiava sia Ridge di Beautiful sia i documentari di Superquark, io mi scambiavo le voci in testa e immaginavo che Ridge diceva:
‘sai Brooke, non è possibile che tu te ne voglia andare perché i lupi d’inverno migrano alla ricerca di cibo verso pianure più verdi…’ e via così.
e immaginavo che quando c’erano le otarie in amore, una dicesse all’altra:
‘come hai potuto farlo? lui era mio fratello!’ eccetera eccetera.

la voce di capone mi rimarrà sempre impressa. il timbro di una voce è capace di suscitare emozioni e ricordi involontari, con un’irruenza minore degli odori, ma comunque sempre con forza. sin da bambina, ci sono voci che ricordo e che ascolto per puro piacere di ascoltare ‘quel’ timbro di voce. mi succede con marco baldini (radio2), con giuseppe cruciani (radio24), con alessio bertallot (radio ddejay), sicuramente per me le voci più belle della radio italiana. così come mi piace ancora ascoltare francesco renga, al di là del genere musicale che ha scelto.

un giorno che avevo dodici anni o giù di lì, è successa una cosa: il mio babbo, che è un’omone di unmetroenovanta, l’ho visto commuoversi in silenzio al concerto di roberto vecchioni, perché quella voce era parte di lui e la sua vita gli era improvvisamente saltata sulle spalle, a tradimento.
al momento non potevo capire perché la mia vita pesava poco, stava solo nel presente, e nessuna voce era in grado di sostituire le uniche due che contavano. ma crescendo ho capito perché.
perché piangeva quella sera.
perché sta in silenzio quando ascolta mina e ornella vanoni …e sembra innamorato.

per il vecchio vizio di riflettere su forma e contenuto, mi sono trovata a chiedermi se hanno più potere le parole o la voce.
in questi giorni, ad esempio, il decreto ‘salva premier’ si è trasformato subito in ‘blocca processi’. certo, sono vere tutt’e due le definizioni. ma la prima era più esatta perché raccontava la ragione della fretta nell’approvazione e la rabbia del capo del governo. il quale, infatti, ha intimato e ottenuto subito dalla stampa il cambio di nome. sissignore, signorsì!

per me, invece, il ‘salva premier’ è e rimane l’azzeratore dei reati di stupro, aggressione e lesioni, così potrebbe benissimo essere chiamato ‘il resettatore’. lo propongo come nome a tutte le frange denigratorie di beppe grillo.

quanto alla mia riflessione, pensavo che le parole hanno peso nel presente e riescono ad avere un’esistenza propria che cambia il corso delle cose. ma solo il loro legarsi a una voce le rende davvero portatrici di un altro significato, più emozionale, che può essere di repulsione o di accettazione incondizionata. è un bene che certe voci non riescano ad ipnotizzarci.
ma se un uomo potente riuscisse anche ad avere una voce efficace, con i nostri mezzi di comunicazione sarebbe la rivoluzione.