siccome ho del lavoro e delle riunioni a Roma, prendo un volo la mattina dell’11 settembre. mi imbarco con la ryan-air a orio. per risparmiare tempo, prenoto solo bagaglio a mano e pago la formula prioritaria check’n’go. mi porto una ventiquattrore col computer, i documenti e le carte e una borsa coi vestiti e il beauty.
al check-in, suona il metal detector e i finanzini mi fermano. mi palpano a turno in due e si soffermano con accuratezza sul mio interno coscia. coscia destra, per l’esattezza. alla fine capisco: il fazzoletto in tasca mi si è arrotolato e o pensano che io abbia un pisello rattrappito che mi si sposta nella patta o che abbia un’arma qualunque in tasca. tolgo il fazzoletto, glielo sventolo con abbondante dispersione nell’aere di muco secco e caccole e la risolviamo così al momento.
intanto, mi viene richiesto di far ripassare la borsa e la ventiquattrore nel carrello a raggi-x.
poi, devo separare il computer dalla borsa. poi devo accenderlo.
è un pc e ci mette una vita. tra me e i finanzini c’è un silenzio in cui si sentono i miei coglioni vorticare (sono le sei e trentadue del mattino!). poi, quando il pc è acceso, io guardo il finanzino e dico:
– e ora?
– ora può spegnerlo, grazie.
nel frattempo, mi chiama una tizia in divisa che si è presa la mia borsa e la porta in un angolino e mi chiede:
– signora, ma lei ha un coltello in questa borsa?
– no, dico io.
– mmh… ora controlliamo.
la signorina indossa i guanti che si usano per scegliere le zucchine al reparto frutta e verdura del supermercato. mi apre la borsa e sparpaglia le mie cose in giro. poi mi apre il beauty.
il coltello p e r i c o l o s i s s i m o era la mia pinzetta per le sopracciglia. la signorina ha una faccia da disappunto. allora, impogna il mio bagnoschiuma alla vaniglia e miele nella destra e il sapone per il viso nella sinistra e mi guarda con ostilità:
– e questi? eh, che mi dice di questi??
che vuole che le dica?, penso io. mi ci pulisco la faccia e il culo, che sono spesso più vicini di quanto non si potrebbe immaginare.
in breve, sono troppo grandi e non posso portarli con me, non so perché. ci vuole un sacchetto. la signorina mi dice:
– lo trova dal tabaccaio.
io vado dal tabaccaio, compro numero due sacchetto costo trenta centesimi l’uno di plastica trasparente tipo quelli per congelare le zucchine del reparto frutta e verdura del supermercato, torno dalla signorina. e adesso? che ci faccio coi sacchetti? mi ci soffoco e mi guardi morire, brutta stronza?
no, ci devo infilare le due potenziali bombe. io metto il mio bagnoschiuma alla vaniglia e miele in uno e il sapone per il viso nell’altro. poi guardo la signorina che mi dice:
– ne bastava uno.
– @@!!$@ [censura!!] e adesso?, chiedo io.
– adesso li rimetta in borsa.
– poi posso andare?
– certo.
vado. mentre passo al duty free evito di pensare alle creme, cremine, bottiglie, bottiglioni, damigiane che mi circondano e che l’aeroporto sarebbe felice io acquistassi. ma poi dovrei finirle assolutamente entro il volo del ritorno, che per me era domani sera. 24 ore soltanto a disposizione. faccio un serio pensiero sul litro di absolute vodka alla menta che mi guarda… ma sono solo le sette di mattina.
arrivati sull’aereo, mi accorgo che, nell’innervosirmi ai controlli del check-in, ho dimenticato il telefono. allora chiedo alla hostess gentile. lei chiama i finanzini del check-in, io faccio squillare il telefono, loro lo vedono e dicono:
– si, è qui, l’abbiamo trovato.
– bene, faccio una corsa se me lo portano al cancello d’imbarco.
il capitano dice: non si può. ecco perché: io non ho la carta d’imbarco e non potrei più tornare sull’aereo e i finanzini non si possno muovere. lo guardo allibita: orio è un aeroporto in miniatura e tra me (sull’aereo, scaletta compresa) e il check-in, dove è tenuto in ostaggio il mio cellulare, ci sono a far tanto cinquecento metri.
– il telefono mi serve per lavorare. non può fare un’eccezione? non può chiedere a una persona qualunque del personale di portarmelo?
– no, non si può.
mi arrendo. che devo fare?
la procedura è lunghissima: sbarcata a roma, devo andare all’assistenza bagagli, compilare un modulo, presentare richiesat all’ufficio della finanza di aeroporto a roma che manda un fax all’aeroporto di milano in cui è descritto il mio telefono e quando ritorno a orio passo all’ufficio oggetti smarriti sperando che il mio telefono ci sia ancora.
– insomma, dico io, devo essere piena di speranza.
– non faccia la spiritosa, signorina, mi dice il capitano.
poi mi guarda:
– se vuole, per far prima, può fare una telefonata!
non lo mando a fare in culo perché ho su le mie scarpe preferite, e non voglio essere scurrile in presenza delle mie scarpe rosse. e poi è il capitano e qui comanda lui.
mentre torno al posto penso una cosa: la sorveglianza preventiva esiste solo negli aeroporti ed è così scrupolosa da essere ridicola. in italia, non c’è mai stato un attacco terroristico. perché da sei anni subisco tutto questo?
se avessi un ex fidanzato che vuole uccidermi e che mi insegue tutte le sere sotto casa armato e lo denunciassi alla polizia, l’unica risposta che otterrei sarebbe questa:
– finché non le fa nulla, non possiamo far nulla neanche noi. torni quando l’avrà violentata, o gambizzata o almeno le abbia causato un danno fisico riscontrabile. si ricordi di portare carta d’identità e codice fiscale er compilare il modulo di denuncia. e faccia la spesa: si dovrà chiudere in casa per almeno cinque anni, tanto il processo non inizierà prima!