Io non sono un uomo. Ma se lo fossi, credo che in questi giorni più di altri sarei preda di un cortocircuito emotivo e di autostima, per il mio genere e forse anche per me. Tre episodi su tutti che dominano i nostri media. A Colonia, mille uomini festeggiano Capodanno molestando le donne in stazione; polizia e sindaco ricordano alle signore che un po’ se la sono cercata. Record del New York Times per l’ottimo articolo firmato da Rukmini Callimachi sulla minoranza Yazidi che include lo stupro tra le pratiche devozionali; l’articolo però generalizza e titola “L’ISIS incoraggia una teologia dello stupro”. E poi il toccante ritorno accanto ai figli di Pinky, la donna di Dello che il marito ha tentato di uccidere dandole fuoco. I bambini, che sono meravigliosi di fronte alle tragedie, ricordano a tutti che «la mamma è da toccare con attenzione». Quando toccò a me uscire da una relazione conflittuale e violenta, mia figlia sentenziò: «Mamma, non devi più voler bene a qualcuno che non ti vuole bene». Ha ragione lei.
Ma per ogni vicino che ti soccorre, come i miei o quelli che hanno salvato Pinky, ce ne sono molti di più che ti ricordano che sei tu che l’hai scelto. Dunque te lo tieni com’è. Per i media, le giustificazioni non mancano mai: dalla passione alla gelosia, dalla suocera all’alcool. Ah: l’alcool è una scusa anche per il branco di Colonia. E per tanti (ex) fidanzati. Come dire: in fondo in fondo, ogni uomo è una bestia e desidera picchiare, uccidere, violentare. Dategliene occasione e lo farà. È che gli uomini sono fatti così. Tocca alle donne gestirli: non sobillateli, non provocateli e, insomma, pensateci prima!
Ecco. Se fossi uomo credo che proverei sentimenti contrastanti per questa tesi che ancora serpeggia sul fondo di tutto quello che leggo; non solo oggi, ma ogni giorno. Io non sono un uomo; e allora ho chiesto a un po’ di uomini che stimo e che rappresentano modelli maschili complessi e moderni, che faccio miei cercando di proporli a mio figlio per la sua crescita. Uno di loro mi ha risposto: ho un parere così ovvio che sento il bisogno di non dirlo. Ha ragione lui.
Bisogna cambiare le parole. Di colpa e indignazione ne abbiamo abbastanza; ci manca il dibattito. Non esiste un fronte di guerra tra i generi sobillato dalle religioni, dai drink, dalle suocere o dalla genetica; esiste una guerra antimoderna alla cultura, alla moderazione e al diritto che prolifera nello smarrimento, nell’indifferenza e nella superficialità. Questo nostro medioevo è il momento perfetto per ridefinire finalmente un bene comune che sia al di sopra dei generi, delle religioni, delle frontiere. Facciamoci del bene, per bene, e subito!
Questo articolo è apparso sulla prima pagina del dorso di Brescia del Corriere della Sera venerdì 8 gennaio 2015.