sabato sera a teatro. lo spettacolo si intitola Molly Sweeney. è uno dei casi studiati e raccontati dal famoso dottor sacks, neurologo di fama planetaria. il racconto del caso clinico è stato sceneggiato da un irlandese, Brian Friel, che mette in scena i tre personaggi della storia e, attraverso i loro monologhi, racconta cosa succede.
ecco cosa succede.
molly ha 41 anni, è praticamente cieca dall’età di 10 mesi. è una donna gioiosa e contenta. ha un bel lavoro e tanti amici che le vogliono bene. non si sente menomata: ha solo un altro modo di vivere la realtà che non è onnicomprensivo (tipico di chi può vedere e percepisce diverse realtà con un unico colpo d’occhio), ma sequenziale (dovuto all’avvicendarsi di percezioni tattili in sequenza e, dunque, relative deduzioni che complessivamente disegnano la realtà dell’oggetto fisico).
poi un giorno molly conosce frank e lo sposa. frank
vive la sua vita come una continua sfida. gli piace avere una missione: importare la capra tibetana in irlanda, avviare apicolture nel deserto, ottimizzare l’inscatolamento del salmone utilizzando pesci di razza rara e con pochi sprechi. frank sta sempre in biblioteca e ha anche lui un mondo suo.
frank e molly si sposano. lui dice che ha letto dei libri e lei può guarire. lei lo ama e si fida.
vanno dal dr.Rice, un oftalmologo con problemi di alcoolismo e di depressione, che nel momento di avvio della sua fulgida carriera è stato piantato dalla moglie per un collega più giovane e più figo e di questo abbandono ne ha fatto malattia. il dr.Rice
decide di operare molly. la restituzione della vista a una cieca , il ventunesimo caso documentato in poco più di mille anni, sarà il miracolo che gli ridarà lustro.
molly viene operata. la sera prima di finire sotto i ferri ha un’illuminazione: vedere mi cambierà e forse verrò esiliata da questo mondo che ora conosco bene e in cui sono felice. e le persone che adesso amo e che so capire così bene, poi non le conoscerò più e saranno come estranei.
ma accetta e si fa operare perché ama suo marito e si fida del dottore.
molly ci vede, non benissimo, ma ci vede. è entusiasta e tutti sono felici. e la studiano. le fanno
test su test e vogliono che lei impari a vedere e a riconoscere la realtà solo con gli occhi, senza l’aiuto degli altri sensi. molly comincia così ad estraniarsi. si sente sola, buttata in un mondo che la angoscia. comincia a cadere in depressione. perde il lavoro e si isola: resta chiusa in camera sua al buio e desidera ritornare cieca. questo suo stato d’animo si trasforma in un disturbo chiamato "visione cieca": agisce come se ci vedesse, ma lo fa inconsciamente.
finisce i suoi giorni in un ospedale psichiatrico, sospesa in un limbo tra la cecità completa e la visione sfocata. i suoi due salvatori la abbandonano come un ennesimo fallimento da dimenticare e riscattare con una nuova missione, più alta, più fulgida, più meritevole. il marito parte per l’etiopia. le scrive che è un paradiso. il dottore si licenzia e se ne va in pensione a pescare.
sul palco, molly è sollevata come un cristo sospeso sul palcoscenico, immolata a una causa che non era la sua. ha fatto la scelta sbagliata: ha sposato un uomo che l’amava perché era diversa e voleva cambiarla. un uomo che l’ha scelta per la sua diversità, che la giudicava handicappata. si è fidata ingenuamente di due persone che hanno applicato il loro concetto di "giusto" e di "bene" al suo mondo, senza conoscerlo e senza considerarlo. in un certo senso, la storia di molly è la storia di una conquista e di una conversione che altro non è se non la scarsa considerazione della realtà altrui e la supponenza irrazionale e ottusa di essere dalla parte giusta.
la regia pensa -a ragione- di far immedesimare lo spettatore nei panni di molly e, per la prima mezzora, dotati di mascherina nera, si sta tutti al buio con gli occhi chiusi e si ascolta.
molto emozionante. i rumori mi fanno saltare e sono sveglissima.
non sono solo sveglia: sono eccitata. ho spesso la fantasia di andare in un luogo molto affollato, di sedermi o di appoggiarmi in una posizione centrale e di rimanere lì ad ascoltare quello che succede: le persone che passano, i suoni dello spazio che rimbomba, i passi, le voci.
quando sono molto stanca o molto stressata, faccio una passeggiata e, per le strade che conosco, in mezzo a gente sconosciuta, chiudo gli occhi e li tengo chiusi per molti passi. poi li riapro e all’inizio sono triste perché a passeggio con gli occhi chiusi sto bene.
molte persone che conosco hanno record personali di tratti di autostrada percorsi con gli occhi chiusi. ma loro, di solito, quando li riaprono, sono adrenalinici.