succede che sei lì, al bancone, in una delle poche sere della tua vita che hai solo voglia di tornartene a casa domattina con un sorriso ebete sulla faccia e possibilmente strisciando sui gomiti, che ti sei concessa scarpe comode e una momentanea amnesia sulle calorie di ogni cocktail da quelli a base soda a quelli a base broda, ed ecco che appare non si sa come non si sa dove e non si sa soprattutto perché il temuto nemico del tuo raro e perciò preziosissimo sballo: quello che “beve bene”.
lo riconosci perché ha tra i trenta e i cinquanta (qualche volta di più, raramente di meno), un’indiscutibile dipendenza dall’alcool che coltiva dal secolo scorso e la necessità di sentirsi una persona adulta e migliore dandosi un tono e scegliendo solo alcolici e superalcolici di qualità.
già, perché non è che la gente beve per sfondarsi il fegato, bruciare un po’ di sinapsi (quasi sempre comunque inutilizzate), dimenticarsi ogni buona creanza, sedurre biascicando, avere un alibi inattaccabile per non doversi ricordare i nomi di battesimo altrui e poter cantare a squarciagola le canzoni di max pezzali. noooo.
quelli sono miserabili, gente di provincia, sfigati, cerebrolesi, adolescenti, gente che si sballa.
quello che “beve bene” invece no: lui è cresciuto, è uomo di mondo, è un bohémien che te la insegna e a ogni sorso ti ci mette i sottotitoli.
lui non si ubriaca: degusta.
lui non si sballa: si eleva.
lui non è un alcolizzato: è un intenditore.
tu lo guardi come si guarda un labrador e vorresti dirglielo: che il fatto che l’alcol sia una droga legalizzata e socialmente accettabile non cambia nulla. e che non c’è bisogno di fare tanto circo per una cosa così ovvia.
e poi – un po’ lewis carrol un po’ fata turchina – vorresti fargli chiudere gli occhi, prendergli la mano e portarlo a fare un giro nel suo paese delle meraviglie sballose però di livello.
il fratello cool di bob marley che ha fatto successo a wall street e oggi si concede solo canne di marijuana coltivate da donne che abitano in villaggi tradizionali e parlano con le foglie delle piante per trasfondere nella ganja l’energia della terra e del cosmo.
la versione charmant di briatore che offre cocaina ai suoi ospiti raccontandogli che è stata coltivata da giovani attivisti colombiani vegani che adottano metodi di coltivazione naturali su appezzamenti di terra chibcha sconsacrata strappati al cartello con trattative pacifiste.
una grande star del rock che mentre si buca declama i benefici del papavero afghano per prevenire i disturbi della gola e offre alle groupie minorenni un po’ di eroina garantendo loro che tutta la filiera di estrazione è rigorosamente bio, senza additivi chimici, e la miscela finale è stata realizzata con acqua di fonte. ah: e naturalmente che le siringhe sono centopercento biodegradabili.
e ce li vedo tantissimo gli spacciatori di ecstasy a un rave che te la vendono al triplo del prezzo mentre si sprecano a raccontarti che quello che ti stai cacciando in gola è il prodotto di un progetto sociale per recuperare i ragazzi della camorra e che con una pastiglia finanzi un corso di chimica per un ex bimbo killer ed è per questo che l’amore che sentirai verso il mondo è un po’ più amore di quello che hai sentito finora.
ecco: quello che “beve bene” è un po’ come quello che ha fatto il salto nei rave. una volta calava l’ecstasy, adesso invece ha il suo selezionassimo fornitore di mdma.
perché c’è differenza; anche se tu, mentre lo vedi deambulare come uno zombie in preda a un tremendo e imbarazzante hangover, non la puoi cogliere.
se la malizia è negli occhi di chi guarda, tu te la sei aggrumata peggio che il mascara. ci pensi bene, se hai voglia di spiegargli tutto questo e rimetterlo al suo posto.
invece non lo fai, perché lo stronzo ti ha ubriacato di chiacchiere e intanto ha ordinato prima di te. tu lo osservi mentre fa il primo sorso, sul suo viso passano una serie di espressioni che vorrebbero ribadire la sua competenza e la sua cultura in fatto di distillati e liquori, lo lasci esprimere il suo giudizio da gourmet de stocazzo; e mentre lui ti guarda altezzoso pronto per assistere alla tua redenzione al verbo dell’alcool di qualità, proprio in quel momento tu ti giri dal barista e gli ordini due chupiti. e quando lui ti chiede di cosa, gli rispondi con un gran sorriso: fai tu, per me è uguale.