fatemelo dire: questa cosa della mamma di Baltimora è schifosa. non tanto per la cosa in sé, che mi pare una faccenda da tinello. ma perché in Italia è diventato allegro argomento di discussione e immediato mito nazionale.
“se il mondo è in rovina lo dobbiamo anche al fatto che siano rimaste poche madri come quelle di Baltimora”. oggi uno su twitter mi ha scritto proprio così. ed era serio, ne sono certa.
gli ho risposto quello che penso: ho pena di chi non sa indignarsi. perché sopravvive come uno zombie, vive come un morto, e non ha idee per cui valga la pena lottare. ho ancora più pena di una nazione che non sa aprire un dibattito su una questione così grave come gli abusi delle forze dell’ordine, il razzismo, i diritti civili, il senso della pena detentiva e, in definitiva, i conflitti sociali nelle città non invase dalla guerra. figurati affrontare temi più importanti, come i conflitti scatenati a livello mondiale, il tramonto del modello capitalista, l’integrazione dell’Europa o le situazioni in Africa e Medioriente.
dio ce ne scampi. anzi: mamma ce ne liberi.
perché il paese che ha saltato i patti generazionali sono decenni che ha rinunciato ad avere opinioni, a dibattere e a difenderle. prima di tutto, bisogna essere educati.
è così che i leader politici più estremi si presentano: con i capelli ben tenuti e la camicia bianca. e dicono le peggio cose; però lo fanno a modino, come si deve, coi gomiti giù dal tavolo e i peli del naso tagliati. hanno imparato dal cinema, dove il cattivo è sempre quello che fuma troppo e non si fa la barba.
giusto perché lo sappiate: a Baltimora il 12 aprile 6 poliziotti hanno arrestato e ucciso un ragazzo di colore di 25 anni. l’avevano fermato alle 5 della mattina, poi l’hanno picchiato e l’hanno lasciato morire. una cosa normale, ovunque ci sia uno stato di polizia.
e se i nomi Stefano Gugliotta, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e Franco Mastrogiovanni non vi dicono niente, allora mi dispiace per voi ma non conoscete il paese in cui vivete.
comunque. siccome il presidio e l’abuso di potere e violenza da parte della polizia è insostenibile, c’è gente che sta protestanto. non solo a Baltimora, ma a New York, Boston, Ferguson, Detroit, Denver, Indianapolis e Chicago. a Baltimora è arrivato l’esercito e la gente non può più andare nemmeno allo stadio. e c’è una procuratrice che si chiama Marilyn Mosby che sta cercando di perseguire legalmente i sei poliziotti per omicidio. e c’è un presidente nero che fa appello alla verità e tenta di forzare il quadrato militaresco dei camerati dell’ordine.
la guerra è civile. e nei cortei, per strada, ci sono persone di ogni estrazione, età, idea che protestano perché si sentono minacciati da chi è pagato per proteggerli.
la mamma di Baltimora, che si chiama Toya Graham, ha fatto bene a trascinare via suo figlio di 16 anni dagli scontri? forse. l’ha fatto per istinto protettivo? forse. ci deve interessare? relativamente.
è solo una storia tra le tante.
ma se vi fate distrarre dalle fiabe della buonanotte, dai miti della buona creanza, dalle storie da tinello che vi tengono buoni e composti, allora nel mondo la storia succede e voi non ve ne accorgete.
non saranno le “mamme di Baltimora” a rendere le città un posto migliore e sicuro. saranno le donne come Marilyn Mosby e tutte le famiglie che in queste ore scendono in piazza con i figli per mano, anche piccoli, anche grandi; vanno in strada e si piazzano davanti ai palazzi del potere e chiedono rispetto.
potete scegliere a che storia credere.
e se siete adulti, forse è ora anche di capire per quale storia valga la pena vivere.